Modulo 4. Il nuovo senso dello stare insieme in collettività, nella Rete della Vita. Il contributo della scienza sulla idea di società quale sistema vivente, sui legami di unità che esistono tra gli esseri umani e la Natura.

 

 

 

1. La cooperazione: da opzione etica a necessità individuale e collettiva
2. La società è un sistema vivente
3. La conciliazione tra interesse individuale e interesse collettivo
4. L’uomo si realizza pienamente nella collettività. Il fondamento biologico della socialità
5. Il dare è anche un ricevere in quanto facciamo parte dello stesso organismo
6. La nostra contraddizione: impieghiamo con egocentrismo le energie della vita ottenute grazie al lavoro disinteressato dei nostri organi

 

1. La cooperazione fraterna: da opzione etica a necessità individuale e collettiva.

”Una fraternità è una collettività che possiede una coscienza estesa, i cui membri sono uniti fra di loro e lavorano non solo gli uni per gli altri, ma anche per il mondo intero”

 

Perché molti invocano la cooperazione fraterna quale extrema ratio, quale chiave risolutiva dei problemi che affliggono l’umanità? Ma cosa connota la società fraterna e perché malgrado le conquiste giuridiche recepite in convenzioni internazionali e in testi costituzionali, la vita sociale pare debba essere rifondata ex novo? Perché malgrado la costituzione di organismi internazionali, le guerre non si arrestano? Il bisogno di legami umani più intensi nelle relazioni sociali, da molti auspicato, in cosa può tradursi concretamente? Forse, la fraternità non si esaurisce in un precetto giuridico o morale o nella costituzione di un organismo internazionale. La fraternità è qualcosa di più di una semplice aggregazione umana o di una collettività quale quella attuale. Buber ha ben posto in luce il carattere precario e paradossale della nostra collettività quando ha rilevato che essa aggrega ma non unisce: “Il collettivismo moderno è l'ultima barriera che l'uomo abbia drizzato a danno dell'incontro con se stesso” (1). L’attuale collettività, aveva già affermato Aïvanhov, non è ancora una collettività fraterna in quanto essa è soprattutto “unione di persone che possono anche non avere alcun legame fra loro. Un paese, ad esempio, o una città è sicuramente una collettività, ma le persone che vivono al suo interno forse si conoscono, si vogliono bene, lavorano coscientemente gli uni per gli altri con amore? No, la maggior parte di essi vive senza conoscere la realtà dei legami che dovrebbero unirli agli altri, perciò non costituiscono ancora una fratellanza. Una fratellanza è una collettività che possiede una coscienza estesa, i cui membri sono uniti fra di loro e lavorano non solo gli uni per gli altri, ma anche per il mondo intero. Una vera fratellanza è una collettività che possiede una coscienza universale” (2).

Concretamente, questa affermazione vuole porre in evidenza che nella collettività fraterna, sul piano psichico o interiore, percepiamo gli altri non come antagonisti, ma come una sorta di prolungamento di noi stessi. In ragione di ciò, proviamo anche su di noi ciò che accade agli altri e ci sforziamo di fare solo del bene, poiché sentiamo e sappiamo che quel bene lo facciamo anche a noi stessi (3).


La fraternità, per molti pensatori, come abbiamo constatato nelle pagine precedenti, non è una delle opzioni possibili del sistema vivente, ma l’unica strada possibile invocata anche da coloro che non hanno convincimenti spirituali. Ciò si spiega con il fatto che solo laddove vi è fraternità, come sopra intesa, non cresce il germe della separatività cioè della coscienza antagonista. La filosofia della separatività è stata portata ormai alle estreme conseguenze in tutti campi della vita, minando le basi della nostra stessa sopravvivenza.


La cooperazione fraterna esprime una attitudine risolutiva in quanto non genera il germe del conflitto, dello sfruttamento o dell’odio, è l’unica attitudine che consente soluzioni sistemiche, in quanto essa è sensibile agli interessi collettivi e non a quelli di una sola parte. La cooperazione fraterna può produrre questi benefici in quanto opera nella logica della famiglia umana unica, nella logica cioè dell’Unità.


L’unico antivirus idoneo a sconfiggere la visione predatoria e antagonista della esistenza è contenuto, dunque, nella coscienza della fraternità in quanto ad essa è coessenziale il valore dell’unità relazionale, non necessariamente presente in altre manifestazioni umane apparentemente affini, quali la solidarietà e la filantropia.
I comportamenti solidali, evidentemente, sono necessari, ma non sono risolutivi. Le guerre e le sofferenze sono sempre protagoniste nel pianeta. Spesso l’appello alla fraternità, a ben vedere, è solo un richiamo alle mense, ai contributi in denaro, etc. Ma in tal modo, si rischia di non percepire il fatto che l’umanità può ambire ad essere migliore per ridurre a monte le cause delle sofferenze, cioè può creare, ab origine, per tutti una esistenza dignitosa. Se la fame nel mondo non è una condanna naturale, ma la conseguenza dei nostri comportamenti collettivi, perché il valore della fraternità deve essere invocato, soltanto, per sfamare i bisognosi? Spesso l’appello alla fraternità è, purtroppo, un appello ad agire sugli effetti, ma non sulle cause.
Ma se il principio di fraternità continuerà ad essere confinato nell’agire delle istituzioni religiose e nella cultura dell’emergenza solidale, i problemi saranno sempre presenti e non avremo, in seguito, nemmeno le risorse per essere solidali. Il valore della fraternitas si è affacciato nell’orizzonte della coscienza umana, non per compensare gli effetti di una visione della vita, materialistica e approfittatrice, ma per diventare essa stessa regola ordinante di vita individuale e collettiva, in armonia con la logica che anima la vita del nostro stesso Universo.
Gli approcci relazionali che si sono manifestati in aiuti materiali o materialistici si sono rivelati ormai insufficienti: essi sono di fatto interventi di semplice manutenzione dell’esistente, inidonei a innovare il cuore delle relazioni interiori tra gli uomini, inidonei ad arginare i danni connessi all’impostazione attuale della vita sociale, inidonei a veicolare crescita umana e dignità individuale. La fraternità non può, dunque, essere confusa con la solidarietà materialistica o con la filantropia (modulo 3).

2. La società è un sistema vivente.

 

La società, afferma lo scienziato Capra, non è una aggregazione meccanica, ma è oggettivamente un sistema vivente e come tale dovrebbe essere permeato, soprattutto, dalla cooperazione e associazione. Questo scienziato osserva che anche secondo la teoria sistemica, emersa negli anni Venti e Trenta del XX secolo, tutti i sistemi viventi (organismo, ecosistema o sistema sociale) condividono una serie di proprietà e di principi di organizzazione (4) e tra questi vi è l’esprit di cooperazione il quale ne garantisce la sostenibilità e la sopravvivenza. Fermo restando certamente che “i tre tipi di sistemi viventi multicellulari (organismi, ecosistemi e società) differiscono massimamente nei gradi di autonomia dei loro componenti: mentre negli organismi, i componenti cellulari hanno un minimo grado di indipendenza, i componenti delle società umane, gli individui, hanno un massimo grado di autonomia, godendo delle molte dimensioni di un'esistenza indipendente; infine, le società animali e gli ecosistemi occupano degli spazi variabili tra questi due estremi opposti” (5).


Il nostro universo che cresce ed evolve, afferma lo scienziato Sheldrake, “è molto più simile a un organismo e lo stesso vale per la Terra [...] e per noi stessi” (6).


In effetti, da secoli, come rileva Aïvanhov, sosteniamo che l'umanità è un organismo, è come un corpo (pensiamo alla metafora organicista), ma poi in realtà, non poniamo in luce le conseguenze pedagogiche e comportamentali derivanti da questa affermazione in quanto "pochissime persone lavorano affinché gli organi dell'umanità siano ispirati dalla stessa saggezza, dallo stesso disinteresse degli organi del corpo fisico; ciascuno non pensa che a sé, a detrimento degli altri. È dunque tempo di prendere come esempio l'organismo umano che la natura ha costruito con tanta scienza, studiare il suo funzionamento, vedere in quali casi si trova in buona salute e in quali la salute manca, e comprendere che le stesse regole valgono per l'insieme dell'umanità"(7).


Anche ad avviso della biologa Sahtouris la grave situazione nella quale versiamo è dovuta al fatto che non abbiamo voluto ammettere che noi esseri umani siamo un sistema vivente allo stesso modo dei nostri corpi individuali e delle nostre famiglie: “stiamo attraversando una profonda crisi perché l’aspetto centrale e fondamentale della globalizzazione, la sua economia, è attualmente organizzato in maniera tale da violare gravemente i principi fondamentali dei sistemi viventi sani, minacciando di morte la nostra civiltà... Finora, nella nostra fase adolescenziale (durata diecimila anni) abbiamo utilizzato grandi quantità di risorse terrestri per costruire le nostre società, nazioni e imprese. Ma adesso riconosciamo che questa distruzione deve finire, e dobbiamo creare alleanze più cooperative. Questo è il nostro imperativo biologico, e la nostra alternativa al suicidio in quanto specie. L’ostacolo principale è il nostro sistema economico, perché la sua mentalità fondata sulla perdita o il guadagno è appropriata solo per una specie infantile. Il capitalismo competitivo è un sistema programmato per concentrare la ricchezza nelle mani di pochi, impoverendo inevitabilmente la grande maggioranza. Un comportamento così distruttivo è possibile solo perché non abbiamo riconosciuto che noi, in quanto specie, siamo un sistema vivente, allo stesso modo dei nostri corpi individuali e le nostre famiglie. Le famiglie non riducono alla fame tre figli per sovralimentare il quarto, né abbelliscono un angolo del giardino distruggendo gli altri tre… L’innovazione più grande di cui abbiamo bisogno è una concezione scientifica del mondo completamente nuova, basata sulla prospettiva degli esseri viventi” (8).

Eppure, come abbiamo sopra rilevato, la metafora organicista è stata impiegata dai pensatori fin dall'antichità (si pensi al trattato giuridico di Manu, alla dottrina platonica della Repubblica, al pensiero di Aristotele esplicitato nel Trattato dei governi, all’apologo di Menenio Agrippa riportato da Tito Livio, alla dottrina spirituale del Corpo mistico dell’apostolo Paolo, all’idea dello Stato come essere vivente elaborata da Marsilio da Padova nel Defensor Pacis, etc.) (9).
Ma nel pensiero di Aïvanhov, è bene precisare, l’analogia con l’organismo umano non è finalizzata a esprimere valutazioni sugli assetti sociali (10), ma è tesa a valorizzare una modalità comportamentale, ovvero, la legge secondo la quale come la vita e la salute del corpo poggiano sul lavoro cooperativo tra la cellule e gli organi, così la società umana deve poggiare sui comportamenti umani improntati alla medesima qualità dei loro organi, in primis, al lavorare per la collettività con disinteresse (11), cioè senza la ricerca dell’interesse egocentrico: “il corpo fisico obbedisce a una legge: tutti gli organi devono lavorare insieme e disinteressatamente per il bene di tutta la persona. Come non vedere che l'essere umano è vivo e sta bene soltanto grazie a questo lavoro disinteressato? La conclusione da trarre è perciò che si riceve mille volte di più, essendo disinteressati anziché egoisti. L'egoista crede che, pensando solo al proprio interesse, trarrà necessariamente dei vantaggi; invece no, così facendo introdurrà in sé la malattia. Gli esseri umani si danno costantemente da fare per avere più degli altri, per dominarli e avere la meglio [...] e sono anche fieri di questo atteggiamento. Questo dimostra che non hanno capito la lezione dell'organismo: tutti i giorni il corpo mostra loro che quel tipo di comportamento li mette a rischio, perché introducono in sé stessi i germi della separazione. "Sì", direte voi, "ma con l'abnegazione e il sacrificio si finisce per deperire." No, succede proprio il contrario, perché soltanto così sarete in grado di introdurre in voi la salute, l'armonia”(12).


La menzionata prospettiva concettuale valorizza non la semplice interdipendenza tra gli esseri, ma le qualità potenziali della nostra coscienza, cioè la vocazione alla collettività e alla fraternità, e del nostro modus agendi, cioè il lavorare con disinteresse. La concezione “corrente di interesse si è talmente allontanata dal suo significato originario (inter-esse, essere in mezzo) che quando questo termine viene usato esso viene quasi sempre inteso con connotazioni negative sotto il profilo morale” (13). Pertanto, appare opportuno precisare che l’agire con disinteresse non è dunque l’agire in assenza di interesse, ma è precisamente l’agire per l’interesse collettivo e fraterno, senza attendersi ricompense.


Quindi lavorare con disinteresse per la collettività rappresenta, a ben vedere, il nostro vero interesse: “Fintanto che gli esseri umani anteporranno i propri interessi personali a quelli della collettività, non vi sarà soluzione ai loro problemi. Quando dico "interessi della collettività" non si tratta soltanto della collettività degli esseri umani, ma dell'universo intero, di cui si servono sempre unicamente per soddisfare se stessi. Guardate come sfruttano gli animali, gli alberi, le montagne, i fiumi, il mare... E se poi un giorno dovessero avere i mezzi tecnici adatti, vedreste che cosa non farebbero con il Sole, la Luna o gli altri pianeti! Tutto ciò che esiste viene utilizzato, in vista di un solo scopo: la soddisfazione dei bisogni materiali dell'uomo. È ora di sostituire il fine con i mezzi, avere come scopo la fratellanza universale e utilizzare per questo fine tutti i mezzi a nostra disposizione, tutte le nostre qualità, facoltà ed energie. Solo a questa condizione saranno risolti i problemi dell’umanità“ (14).


Allo stesso modo, l’agire gratuitamente, cioè “il dono gratuito” non è connotato dal “disinteresse totale”, in quanto ricomprende al suo interno una dimensione dell’interesse finalizzato “a costruire la fraternità”(15).
Mentre il dare nello “scambio economico è sempre ‘in attesa di’ ed è come finalizzato ad un ricevere, il donare invece è un dare che è ‘senza relazione’ con il ricevere”(16).

 


3. La conciliazione tra interesse individuale e interesse collettivo.

“La contrapposizione tra interesse personale e interesse collettivo non ci consente di afferrare ciò che costituisce il bene comune, e cioè “il bene dello stesso essere in comune”

Marco Aurelio sosteneva: “Siamo nati per la cooperazione, l’agire gli uni contro gli altri è dunque contro natura e se la mente ci è comune, anche la ragione, per la quale siamo razionali, ci è comune, siamo partecipi di una comunità organizzata. Tutti cooperiamo per un unico risultato”(17).
Anche il funzionamento dell’organismo osservato nel suo stato normale e in quello patologico comprova che occorre sì perseguire il proprio interesse ma in armonia con la collettività nella quale si vive e dalla quale si dipende. Non è concepibile, se non in termini illusori e contingenti, il bene individuale in opposizione o prescindendo dal bene comune. Le condotte egoistiche e individualistiche, non essendo coerenti con il bene comune, sono autolesionistiche.
Come osservava acutamente Tocqueville, “l'egoismo è un amore appassionato ed eccessivo di sé, che spinge l'uomo a riferire tutto soltanto a se stesso e a preferire se stesso ad ogni cosa. L'individualismo è un sentimento che porta ogni cittadino a isolarsi dalla massa dei suoi simili e ritirarsi in disparte con la sua famiglia e i suoi amici; cosicché, dopo essersi creato una piccola società per il suo tornaconto, abbandona volentieri la grande società a se stessa. L'egoismo nasce da un istinto cieco; l'individualismo deriva invece più da un giudizio errato che non da un sentimento depravato. Trae origine tanto dai limiti dell'intelletto, quanto dai vizi del cuore. L'egoismo inaridisce il germe di tutte le virtù; l'individualismo in un primo tempo si limita a prosciugare la sorgente delle virtù pubbliche, ma alla lunga attacca e distrugge tutte le altre e alla fine confluisce nell'egoismo”(18).
La contrapposizione tra interesse personale e interesse collettivo si rivela nella sua drammaticità se poniamo a raffronto le esigenze della sostenibilità ecologica con il modo in cui è strutturata l’economia della nostra società: “L'economia mette in evidenza competizione, espansione e dominio; l'ecologia mette l'accento su cooperazione, conservazione e collaborazione” (19). Si dimentica spesso che “la collaborazione è una caratteristica essenziale delle comunità sostenibili. Gli scambi ciclici di energia e di risorse in un ecosistema sono mantenuti da rapporti di totale cooperazione. Effettivamente, fin dalla creazione delle prime cellule nucleate più di due miliardi di anni fa, la vita sulla Terra procede attraverso rapporti di cooperazione e coevoluzione sempre più intricati. La collaborazione - la tendenza ad associarsi, a stabilire legami, e cooperare - è uno dei segni di riconoscimento della vita. Nelle memorabili parole di Margulis e Sagan: la vita non ha vinto sul globo combattendo, ma facendo rete” (20).
La contrapposizione tra interesse personale e interesse collettivo non ci consente di afferrare ciò che costituisce il bene comune, e cioè “il bene dello stesso essere in comune” ove in realtà “il bene del singolo non scompare, in modo indifferenziato all’interno di una grandezza” intesa come semplice sommatoria dei beni dei singoli” (21).
Il bene comune non è dunque dissociabile dal bene individuale. Danneggiare e depauperare il bene comune vuole dire arrecare lesioni anche a se stessi.

4. L’uomo si realizza pienamente nella collettività. Il fondamento biologico della socialità.

“La relazione sociale è inscritta nel nostro codice genetico, fa parte del nostro patrimonio biologico”

La prospettiva di una visione armonica tra cura dello sviluppo individuale e cura dello sviluppo della società è accolta, come potenzialità, anche nella Costituzione se pensiamo che l’obiettivo di promuovere il pieno sviluppo di ogni persona umana (art.3, comma secondo, Cost.) non è in conflitto con l’obiettivo di favorire l’interesse generale (art.118, u.c.): “creare le condizioni grazie alle quali ciascuno possa realizzare le proprie capacità è solo apparentemente un obiettivo per così dire "egoistico", che interessa unicamente il soggetto destinatario dell'intervento pubblico; in realtà è un obiettivo che interessa l'intera collettività, esattamente nello stesso senso in cui la Costituzione afferma all'art.32, 1°c. che la salute è un fondamentale diritto dell'individuo ma anche un interesse della collettività. Così come è evidentemente nell'interesse dell'intera collettività che i suoi membri siano in buona salute, allo stesso modo è interesse generale che a tutti i membri della collettività sia data l'opportunità di realizzare se stessi esercitando le proprie capacità, perché questo "arricchisce" l'intera collettività, non solo i soggetti interessati”(22).
Oggi, sostiene il biologo molecolare Boncinelli, le neuroscienze ci spiegano perché l’uomo si realizza pienamente solo nella collettività: “l'uomo è caratterizzato soprattutto dalla sua dimensione collettiva. Nel collettivo l'uomo trova la sua cifra più vera e letteralmente unica. Nessuno da solo può raggiungere una qualsiasi conclusione che sia diversa da quanto gli fanno credere i suoi sensi, ma un collettivo sì. Le conclusioni dei singoli possono essere avallate, contraddette o corrette da un collettivo di uomini operanti in un sufficiente lasso di tempo. Da soli non avremmo una logica, che è una costruzione eminentemente collettiva, visto che nessuno di noi è perfettamente logico. Da soli non avremmo una scienza, prodotto di una continua interazione fra uomini e fra uomini e cose. Da soli non avremmo una storia né la capacità di conoscere fatti di terre lontane. Anche se ci impegnassimo allo spasimo, ciascuno di noi non vive abbastanza per raggiungere da solo tali obiettivi. Aristotele definì a suo tempo l'uomo un «animale politico» cogliendo così allo stesso tempo l'aspetto della sua socialità e della sua interattività [...] l'uomo deve assolutamente essere sociale per essere uomo. Non tanto e non solo perché vivere in comunità è utile per condurre una vita migliore, ma perché è il vivere in un collettivo, almeno per un lungo periodo iniziale, che fa di un essere umano un essere umano” (23).


Uno dei personaggi del romanzo,“I Fratelli Karamazov”, spiega con parole tuttora attuali come l'isolamento umano si ponga in contrasto con la legge naturale di fraternità: “Per rifare il mondo da capo, occorre che gli uomini stessi imbocchino psicologicamente un'altra strada. Fintanto che ciascun uomo non sarà diventato veramente fratello del suo prossimo, la fratellanza non avrà inizio. Nessuna scienza e nessun interesse comune potrà indurre gli uomini a dividere equamente proprietà e diritti. Qualunque cosa sarà sempre troppo poco per ognuno e tutti si lamenteranno, si invidieranno e si ammazzeranno l'un l'altro. Voi mi domandate quando avverrà tutto questo. Avverrà, ma prima deve compiersi il periodo dell'isolamento umano [...]. Quello che domina attualmente in ogni dove, soprattutto nel nostro secolo, ma che non è ancora concluso, non è ancora giunto al termine. Giacché ognuno tenta di separare al massimo la propria individualità, vuole sperimentare in se stesso la pienezza della vita; ma, al contrario, tutti i suoi sforzi non raggiungono la pienezza della vita, bensì l'autodistruzione, giacché, invece di realizzare pienamente il proprio essere, l'uomo si chiude nell'isolamento più completo [...]. Dappertutto, oggigiorno, la mente umana ha preso ad ignorare, con aria di scherno, che la vera sicurezza dell'individuo non risiede nello sforzo isolato e individuale, ma nell'universale solidarietà umana. Ma sarà inevitabile che venga la fine anche di questo terribile isolamento e che tutti insieme capiscano di essersi separati in maniera innaturale l'uno dall'altro. Sarà lo spirito del tempo e gli uomini si meraviglieranno di essere rimasti così a lungo fra le tenebre senza vedere la luce. Allora nel cielo si vedrà il segno del Figlio dell'Uomo [...]. Ma fino a quel giorno dobbiamo proteggere il vessillo: l'uomo, anche da solo, deve dare l'esempio e innalzare l'anima dall'isolamento a un gesto di comunione fraterna, anche se dovrà passare per un folle stravagante. E tutto per non permettere che la grande idea muoia" (24).


Lo stesso Einstein in un saggio del 1949 aveva così stigmatizzato la crisi interiore dell’uomo prigioniero del proprio egoismo e isolamento: ”Ho raggiunto oggi il punto in cui posso indicare brevemente in cosa consiste per me l’essenza della crisi del nostro tempo. Riguarda la relazione dell’individuo con la società. L’individuo è diventato più conscio che mai della sua dipendenza dalla società. Ma non vive questa dipendenza come un valore positivo, come un legame organico, come una forza proattiva, ma piuttosto come una minaccia ai suoi diritti naturali, o persino alla sua esistenza economica. In più, la sua posizione nella società è tale che gli impulsi egoistici della sua formazione si accentuano costantemente, mentre i suoi impulsi sociali, che sono per natura più deboli, si deteriorano progressivamente. Tutti gli esseri umani, qualunque sia la loro posizione nella società, soffrono per questo processo di deterioramento. Prigionieri inconsapevoli del loro stesso egoismo, si sentono insicuri, soli, e privati di quel godimento naturale, semplice, e genuino della vita. L’uomo può trovare il significato della vita, breve e problematica come è, solo dedicando se stesso alla società” (25).


Anche il fondamento biologico del fenomeno sociale, per due autorevoli scienziati quali Maturana e Varela, risiede nell’accettazione degli altri: “senza l’accettazione degli altri che vivono accanto a noi, non c’è fenomeno sociale e quindi non v’è umanità. L'emozione fondamentale che rende possibile l'ominazione è l'amore, non sto parlando da un punto di vista cristiano [...] la parola amore è stata snaturata, e a furia di ripetere che l'amore è qualcosa di speciale e difficile, si è svigorita anche l'emozione che connota. L’amore è costitutivo della vita umana, è il fondamento del sociale” (26).


Non a caso oggi si parla di cervello sociale, ponendo attenzione “su nuovi modelli di intelligenza, tra cui quella denominata “intelligenza emotivo-sociale”. Finora si considerava solo l’intelligenza logico-matematica, rappresentata dal Q.I. tradizionale, ritenendola un dato genetico e perciò immodificabile dall’esperienza. Ora si sta dimostrando invece come le capacità dell’intelligenza sociale siano influenzate fortemente dalle relazioni interpersonali e possano essere apprese e potenziate nel corso della vita. Tra queste abilità sono comprese innanzitutto l’empatia (ossia la capacità di riconoscere emozioni e sentimenti negli altri, riuscendo a comprenderne punti di vista, interessi e difficoltà interiori), ma anche la conoscenza di sé, l’attenzione (intesa come la capacità che consente l’ascolto attivo e permette il dialogo), l’autocontrollo delle situazioni, la sollecitudine verso gli altri, etc. Le tecniche di neuroimmagine funzionale del cervello stanno evidenziando una sorta di mappa del nostro “cervello sociale”, cioè le reti di neuroni che si attivano e cooperano durante l’interazione tra persone. Si è visto che si crea in ogni interazione un legame funzionale, una sorta di adattamento reciproco tra i cervelli che si connettono e che si influenzano a vicenda” (27).
Gli esseri umani appaiono essere programmati per essere relazionali, osserva Gallese: “La relazione sociale è inscritta nel nostro codice genetico, fa parte del nostro patrimonio biologico. Ovviamente le modalità con cui possiamo declinare questa relazione sono molteplici e sono in gran parte influenzate dalla qualità e dalla quantità di relazioni che noi esperiamo durante il nostro sviluppo, che non è solo somatico ma anche, se non soprattutto, uno sviluppo di tipo psico-affettivo. Abbiamo questo meccanismo di risonanza, che ci mette tutti, seppure in maniera diversa, automaticamente nella posizione di “mappare” il sentire e l'agire altrui” (28).
Sulla base delle recenti scoperte nel campo della neurologia e delle scienze dell'età evolutiva, afferma Rifkin, è da rivedere l'inveterata convinzione che gli esseri umani siano per natura aggressivi, materialisti, utilitaristi e dominati dall'interesse personale: vi è "la graduale presa di coscienza del fatto che siamo membri di una specie profondamente empatica" (29). Spesso si afferma che “noi siamo quelli che non riconoscono i bisogni degli altri: siamo egocentrici, mercenari, narcisisti. Pensiamo prima di tutto a noi stessi, e siamo motivati solo dal nostro interesse personale, che abbraccia fino all'ultimo ossicino del nostro corpo. Si dice che persino i nostri geni siano egoisti. Eppure la storia della biologia non si riduce alla sola competizione: in questa visione manca qualcosa di più profondo [...] in realtà lo studio della biologia, dovrebbe portarci ad affermare che siamo supercooperatori e che l'altruismo e la collaborazione sono meccanismi fondamentali nel processo evolutivo” (30).
Una delle cose fondamentali di cui sono convinto, ha affermato il Dalai Lama, “è che la natura umana sostanzialmente sia incline alla compassione e all'affetto. La fondamentale natura umana è gentile, non è aggressiva né violenta [...] tutti gli esseri umani condividono la natura divina. Aggiungerei inoltre che quando esaminiamo il rapporto fra la mente, o coscienza, e il corpo, ci accorgiamo di come gli atteggiamenti, le attitudini e gli stati mentali positivi, come la compassione, la tolleranza e il perdono, sono strettamente collegati con la salute e il benessere fisico e accrescono il benessere, mentre gli atteggiamenti e i sentimenti negativi, l'ira, l'odio, gli stati di grande turbamento mentale, minano la salute. Si potrebbe affermare che questo nesso dimostra come la nostra fondamentale natura umana sia sostanzialmente incline ad atteggiamenti e a sentimenti positivi” (31).
In effetti, le evidenze scientifiche comprovano sempre più come il benessere fisiologico e psicologico sia collegato ad attitudini cooperative e altruistiche. Ci ricorda Veronesi che “da alcuni decenni, soprattutto dopo la scoperta del Dna, la scienza della moderna genetica molecolare e l'antropologia delle più avanzate teorie evoluzionistiche cercano di dare una risposta ad alcune domande fondamentali: dove nasce il nostro senso della bontà? perché siamo buoni?... Gregory Berns, professore di psichiatria alla Emory University di Atlanta, utilizzando tecniche di imaging cerebrale ha scoperto che quando le persone mettono in atto comportamenti altruistici nel loro cervello aumenta il flusso di sangue proprio nelle aree che vengono attivate dalla vista di cose piacevoli... Come dire che un gesto generoso, il semplice fare la carità, è già sufficiente a farci sentire felici” (32).
Anche l'intero processo di evoluzione può essere riguardato in termini diversi da quelli tradizionali. Ad esempio, l’astrofisico Jantsch, teorico della co-evoluzione, basandosi sulle teorie di Prigogine, osserva che detto processo non è un “sistema casuale di crescita ma un sistema intelligente e ordinato di individui che crescono grazie alla auto-trascendenza, intesa come capacità di trasformare se stessi oltre i propri limiti attuali, e alla co-evoluzione. La co-evoluzione si pone in modo polare rispetto al concetto di competizione individuale evolutiva, come lotta per la sopravvivenza di ogni singolo essere contro tutto e tutti. Nella co-evoluzione si pone in risalto l’elevatissima coerenza e cooperazione che si instaura tra individui della stessa specie e anche di specie diverse come logica di migliore evoluzione collettiva” (33).
Quanto detto fin qui, illustra bene perché l’egoista è infelice non appena cessa l’euforia momentanea del “prendere”. In effetti l’egoista non può provare felicità: "L'egoista non può essere felice, poiché nel suo cuore, nella sua anima, tutto è ristretto. Per essere felici bisogna allargarsi fino ad abbracciare il mondo intero, e soltanto l'amore permette tale dilatazione. Colui che possiede molto amore si estende, si dilata, abbraccia l'universo [...] tutto si apre a lui” (34). L’egoismo comprime in noi l’aspetto collettivo, comprime cioè una parte di noi, una parte profonda del nostro essere uomini, rendendoci inevitabilmente insoddisfatti.
L’avaro si rifiuta di legarsi all’altro, osserva Zamagni, “per la semplice ragione che non ama se stesso, ma solamente “la roba” che accumula. Secondo la celebre espressione di Kierkegaard, la porta della felicità si apre verso l’esterno, sicché può essere dischiusa solo andando “fuori di sé”. Il che è proprio quanto l’avaro non riesce a fare” (35).
Andando verso l’esterno in realtà ritroviamo una parte di noi stessi: è questa la grande esperienza anche cognitiva della fraternità, non sufficientemente valorizzata dalla cultura ufficiale. Negare l’apertura alla fraternità vuole dire accettare di mappare su se stessi la parzialità. Se non regoliamo i conti correttamente con la fraternità cioè con la vita universale, deformiamo i nostri processi cognitivi, emotivi e comportamentali, cioè viviamo una esperienza umana dimidiata, fortemente incompleta
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5. Il dare è nel contempo anche un ricevere in quanto facciamo parte dello stesso organismo.

“Il cuore non pulsa per se stesso, ma per tutto l'organismo; lo stomaco non digerisce per se stesso ma per tutto l’organismo”

 

Riusciamo dunque a essere in vita e a vivere in salute, come puntualizza Aïvanhov, grazie alla cooperazione fraterna, al lavoro svolto per l’interesse collettivo dal nostro organismo. Appare opportuno soffermarci nuovamente su questo concetto per sottolineare ulteriormente questa semplice ma fondativa riflessione: “il cuore non pulsa per se stesso, ma per tutto l'organismo; lo stomaco non digerisce per se stesso ma per tutto l’organismo, etc. Ma se le cellule iniziano a lavorare solo per se stesse, arrivano le malattie. La stessa legge vale per l’umanità e la società, perché anche esse sono un organismo. Se le nazioni, come gli organi, vivono con spirito di separatività ne seguono ostilità, guerre, miserie. L’umanità si ammala allo stesso modo di come accade al singolo uomo” (36). La scienza, infatti, conferma che “l'essenza della vita è l'integrazione, vale a dire la mutua relazione tra organi specifici, cuore e reni, cervello e polmoni, etc. Quando questo legame reciproco scompare, il sistema smette di essere un'unità integrata e incorre nella morte” (37).
Il dare per gli interessi della collettività, dunque, è un elemento costitutivo del nostro essere in vita e in salute, ed è, nel contempo, anche un ricevere in quanto facciamo parte dello stesso organismo. Questo purtroppo oggi ci sfugge in quanto non percepiamo questa dipendenza, questa comunione di vita, soggiogati dalla visione oculare della separatezza fisica degli esseri dalla quale facciamo discendere la separatezza delle nostre vite psichiche, dei nostri comuni destini e dei nostri comuni interessi.
Anche l’endocrinologo Chopra, corroborando implicitamente l’impostazione di Aïvanhov, mette in evidenza alcune caratteristiche del comportamento delle nostre cellule le quali possono, a ben vedere, costituire in piccolo un modello dell’intero cosmo, fonte di insegnamento per la nostra vita relazionale: “La saggezza delle cellule è più antica di quella della corteccia cerebrale, e può rappresentare il modello ideale dell'unica cosa più vecchia di loro, cioè del cosmo. Ovunque mi capiti di volgere lo sguardo, vedo ciò che la saggezza cosmica cerca di ottenere, e che corrisponde a quello che io stesso tento di realizzare: crescere, espandere, creare. La differenza principale è data dal fatto che il mio organismo collabora con l'universo meglio di quanto potrei fare io in maniera consapevole. Ogni cellula del nostro corpo lavora in maniera spontanea per proteggere l'intero organismo, ponendo al secondo posto il suo benessere soggettivo […] per le cellule l'egoismo non è un'opzione accettabile. Le cellule comunicano tra loro. Le molecole che svolgono il ruolo di messaggeri corrono in tutte le direzioni per informare gli avamposti del corpo in merito alle intenzioni e ai desideri formulati. Nessuna di loro può scegliere di rifiutarsi di trasmettere le informazioni o di passarle solo in parte. Ogni singola cellula riconosce l'importanza delle altre. Tutte le funzioni corporee sono interdipendenti tra loro. Agire in perfetta solitudine è impensabile. Donare è la capacità primaria della cellula, che le consente di mantenere l'integrità delle sue compagne. La completa disponibilità a dare rende automatico il gesto di ricevere, che corrisponde all'altra metà di un ciclo naturale” (38).
Laitman, esperto di Ontologia e Teoria della Conoscenza, osserva nella stessa direzione che “le cellule dell’organismo sono unite da un vincolo di donazione reciproca e tutte concorrono al mantenimento del corpo. Ogni cellula usa ciò che è necessario al suo sostentamento e dona la restante energia a beneficio dell’organismo. In ogni livello della Natura, l’individuo lavora per il bene di un tutto, del quale è parte integrante e nel farlo trova la pienezza. Senza il funzionamento altruista, il corpo non potrebbe sussistere e la vita stessa non sarebbe possibile. Oggi, dopo numerose ricerche in diversi campi, la scienza è arrivata alla conclusione che anche l’umanità, è parte di un unico organismo, ma purtroppo non sembra ancora rendersene conto. Dobbiamo capire che tutti i problemi attuali non sono una semplice coincidenza e non potremo risolverli con le formule usate in passato, ma continueranno a crescere fino ad obbligarci ad adempiere alla legge della Natura, la legge dell’altruismo. Quando indaghiamo la Natura in profondità troviamo sempre più esempi di reciproca connessione. La Natura ha progettato la vita in maniera tale che ogni cellula deve diventare altruistica nei confronti delle altre, in modo tale da costruire un corpo vivente. Lo scopo generale di tutto l’universo, è che l’umanità raggiunga lo stato nel quale tutti i suoi componenti siano come una famiglia. Tutti prenderanno in considerazione gli altri e diventeranno garanti di tutti ed ognuno” (39).
Recentemente, anche il biologo cellulare Lipton ha posto in luce che abbiamo molto da apprendere dalle nostre cellule, per impostare la nostra vita sociale: ”la civiltà umana (“soltanto” sette miliardi di esseri umani) sta attualmente lottando per sopravvivere. Contemporaneamente, i cinquanta trilioni di cittadini cellulari sotto alla nostra pelle vivono in armonia e gioia. La tecnologia cellulare è ben più sofisticata di qualunque cosa gli esseri umani siano mai riusciti a concepire”. Riguardo al governo, osserva Lipton, “il sistema cellulare incarna il motto “e pluribus unum”, cioè “da molti, uno”. Ogni cellula è “libera” di prosperare, a patto che contribuisca al benessere dell’intero sistema. La politica che divide, dualistica, nel corpo è sconosciuta. Polarità diverse (come proteine e lipidi) cooperano per creare un tutto integrato” (40).
Il biochimico Carlo Remigio Rossi ci invita a riflettere sul fatto che “non pensiamo mai alle nostre cellule: sono esseri microscopici, ad una analisi superficiale sembrano tutti uguali, in realtà si diversificano da organo a organo, da tessuto a tessuto, perché hanno compiti diversi, ma vivono e lavorano in perfetta armonia per farci correre, gioire, piangere, amare, pensare” (41).
Certamente, tra gli altri, anche Bourgeois, premio Nobel per la pace nell’anno 1920, traeva il fondamento della famosa “doctrine de la solidarité des êtres” proprio dal funzionamento della vita (42) e, ancor prima, Louis Blanc, nella prima metà dell’Ottocento, sosteneva la rilevanza paradigmatica del modello del corpo umano ai fini di una ottimale organizzazione della società: ”le principe de la fraternité est celui qui, regardant comme solidaires les membres de la grande famille, tend à organiser un jour les sociétés, œuvre de l'homme, sur le modèle du corps humain, œuvre de Dieu” (43).
Ma a tutt’oggi, non siamo andati oltre alla semplice constatazione dell’esistenza della legge di interdipendenza e all’adozione di misure socio-economiche di solidarietà, in quanto abbiamo estromesso dai nostri paradigmi le relazioni interiori, le relazioni psichiche tra le parti, cioè tra gli esseri viventi. Abbiamo affidato da tempo, lo sviluppo della nostra cittadinanza e il nostro benessere a due grandi istituzioni, allo Stato e al Mercato: ma ”se tutto ciò che sta fuori dal binomio Stato-mercato diventa irrilevante agli effetti della cittadinanza, la cittadinanza deperisce […] enormi problemi sociali derivano dalla rimozione e dalla distorsione delle relazioni intersoggettive, come è evidente nelle cosiddette patologie della modernità […] la cittadinanza non si può reggere sull’assistenzialismo (lo Stato), né può essere fondata sull’individualismo (il Mercato)” (44).
È giunto il momento di considerare la legge di cooperazione fraterna quale nuova linfa vitale per il pactum societatis, quale “modello di ogni organizzazione che deve riflettersi dapprima nella nostra famiglia, ma anche nella società, nella nazione ed ancora oltre, nell'intero pianeta" (45).
In effetti, la singola famiglia dovrebbe essere la prima scuola di fraternità. Anche per Bergoglio “la fraternità si comincia ad imparare solitamente in seno alla famiglia, soprattutto grazie ai ruoli responsabili e complementari di tutti i suoi membri, in particolare del padre e della madre. La famiglia è la sorgente di ogni fraternità” (46). La fraternità può prendere l’abbrivio dalla famiglia ma non può esaurirsi in essa (47). Come osservava Tolstoi, lo stesso “matrimonio cristiano non è possibile se un uomo non ha amore che per sua moglie e niente per tutti i suoi simili; la persona ch'egli sposa dev'essere la base del suo affetto fraterno per tutti gli uomini. Com'è fuori dubbio che non si può costruire una casa senza le fondamenta, o dipingere un quadro senza che la tela sia stata preparata, così l'amore coniugale non può essere legittimo, ragionevole o durevole, se non riposa sull'amore dell'uomo per l'uomo in generale. È il solo modo di stabilire una vita di famiglia veramente cristiana” (48).



6. La nostra contraddizione: impieghiamo con “egocentrismo” le energie della vita ottenute grazie al lavoro disinteressato dei nostri organi.

“La fraternità è un valore che esprime il legame di se stessi con l'interesse generale, è un valore che esprime un profondo civismo”

Noi viviamo effettivamente in una grande contraddizione: riceviamo la salute e la vita grazie al lavoro disinteressato dei nostri organi e delle nostre cellule, ma ne impieghiamo il frutto in una logica molto “interessata”, tradendone l’essenza oblativa e diventando, in tal modo, profittatori di risorse e infelici.
Se la cooperazione fraterna è espressione della vita e della salute del nostro organismo, perché essa non dovrebbe costituire una modalità naturale della nostra vita relazionale?
Il trattenere per sé la vita che si riceve è un grande errore compiuto nell’illusione di potere avere di più. Certamente, “è normale desiderare sempre più soldi, titoli, posizioni, possedimenti. Quando tutto questo comincia a diventare anormale? Il nostro organismo ce lo spiega così chiaramente che nessuno lo può contraddire. Che cosa fa lo stomaco quando gli date il cibo? Prende ciò di cui ha bisogno. Ed anche ciò che prende, non lo utilizza soltanto per sé, ma lo lavora impregnandolo di differenti succhi per distribuirlo poi a tutto il corpo. Lo stomaco trattiene soltanto ciò che gli necessita per alcune ore, passate le quali, se reclama nuovamente un po' di cibo, è solo in funzione dei suoi bisogni. Grazie alla saggezza dello stomaco l'uomo si mantiene in buona salute. Supponiamo ora che lo stomaco dica: "Adesso tengo tutto per me! A che serve continuare a dare qualcosa a tutti questi sciocchi? E poi non si sa mai che cosa ci riserva il futuro, ho tutta una progenie a cui debbo assicurare la sopravvivenza". Così incomincia ad accumulare il cibo, ed ecco sopraggiungere la malattia. Se gli uomini riflettessero, si accorgerebbero che si stanno comportando come uno stomaco avido ed egoista, mettendo a repentaglio la buona salute di quell'immenso organismo che è l'umanità" (49). In natura, “non esistono disoccupati e rifiuti, se l’economia si ispirasse alla natura, in dieci anni si potrebbero creare milioni di posti di lavoro” (50).
D’altronde, tutti noi constatiamo come la società tenda a disgregarsi, a impoverirsi laddove nei suoi componenti difetti il solo sentire comune, il solo senso civico dello stare insieme. Congiuntamente alla disgregazione si manifesta inevitabilmente l’accesa conflittualità tra le parti. Shakespeare, in Troilo e Cressida, fa dire a Ulisse, in relazione alla crisi della sua città natale,: «se la comunità non è l’alveare al quale prestan tutte il lor concorso le api operaie, qual miele mai ci si potrà aspettare?».
Se una società versa in una situazione di disgregazione, ciò vuole dire che non predomina in essa una coscienza di vita “disinteressata” in quanto i suoi componenti lavorano solo per se stessi, contrariamente a quanto accade in un corpo sano ove gli organi lavorano in modo cooperativo al fine di mantenerci in vita e in salute.
Quando scema “l’interesse per l’altro (e non già all’altro) che nasce dal desiderio del legame”, la società entra in crisi: “un’idea questa che venne magistralmente compresa e illustrata da G. B. Vico quando previde che il declino di una società inizia nel momento in cui gli uomini non trovano più dentro di sé la motivazione per legare il proprio destino a quello degli altri” (51).
Il principio di fraternità è, infatti, l’unico principio che può apportare la guarigione sociale. Morin ha ben messo in luce che la fraternità contiene un profondo civismo in quanto esprime il legame di se stessi con l'interesse generale. Dove deperisce lo spirito civico, dove non si sente di essere responsabile degli altri e solidale con gli altri, la fraternità scompare (52).
A questo proposito, la corruzione è emblematica in quanto costituisce un esempio di vita predatoria in antitesi con la fraternità, esempio di vita cooperativa.
Recentemente anche Bergoglio ha esplicitato il nesso tra fraternità e civismo: “L’orizzonte della fraternità rimanda alla crescita in pienezza di ogni uomo e donna. Le giuste ambizioni di una persona, soprattutto se giovane, non vanno frustrate e offese, non va rubata la speranza di poterle realizzare… La fraternità genera pace sociale perché crea un equilibrio fra libertà e giustizia, fra responsabilità personale e solidarietà, fra bene dei singoli e bene comune. Una comunità politica deve, allora, agire in modo trasparente e responsabile per favorire tutto ciò… Un autentico spirito di fraternità vince l’egoismo individuale che contrasta la possibilità delle persone di vivere in libertà e in armonia tra di loro. Tale egoismo si sviluppa socialmente sia nelle molte forme di corruzione, oggi così capillarmente diffuse, sia nella formazione delle organizzazioni criminali, dai piccoli gruppi a quelli organizzati su scala globale, che, logorando in profondità la legalità e la giustizia, colpiscono al cuore la dignità della persona. Queste organizzazioni offendono gravemente Dio, nuocciono ai fratelli e danneggiano il creato, tanto più quando hanno connotazioni religiose” (53).

 

 

 


1. M. Buber, Il problema dell'uomo, Marietti, 1972, p. 203.
2. O.M. Aïvanhov, Pensieri Quotidiani, 29 aprile 2001; Idem, La filosofia dell’universalità, 1996, Prosveta.
3. Idem, Pensieri Quotidiani, 10 febbraio 2014, Prosveta.
4. F. Capra - P.L. Luisi, op.cit., p. 389. Capra estende al campo delle scienze sociali la nuova concezione della vita emersa dalla teoria della complessità, cfr. Idem, La scienza della vita, Bur, 2001, p. 17.
5. Ibidem.
6. R. Sheldrake, Le illusioni della scienza. 10 dogmi della scienza moderna posti sotto esame, Apogeo, 2013, p. 26. La metafora meccanicista, sostiene Sheldrake “ha perso da molto tempo la propria utilità e ostacola il pensiero scientifico in fisica, biologia e medicina” ibidem.
7. O.M. Aïvanhov, Pensieri Quotidiani, 12 maggio 2003, Prosveta; Idem, Conferenza 8 Agosto 1975, in Opera omnia n. 26, Prosveta.
8. E. Sahtouris, La danza della vita: Gaia, dal caos al cosmo, 1991. Ricordiamo che già la famosa biologa Margulis aveva ipotizzato, con riferimento alle cellule batteriche, che la nozione darwiniana di una evoluzione fondata sulla competizione, fosse incompleta in quanto l'evoluzione appariva basata piuttosto sulla cooperazione, interazione, e dipendenza mutuale tra organismi, cfr. L. Margulis - D. Sagan, Microcosmo. Dagli organismi primordiali all’uomo: un’evoluzione di quattro miliardi di anni, Mondadori, 1989. Anche in Darwin si trova, comunque, il riconoscimento del fatto che l’uomo è spinto dal desiderio di aiutare i suoi compagni, C. Darwin, Descent of Man, and Selection in Relation to Sex, London 1871, p. 392.
9. Le dottrine filosofiche, politiche o sociologiche che interpretano il mondo, la natura o la società in analogia all’organismo vivente sono definite “organiciste”, cfr. N. Abbagnano, Dizionario di Filosofia, Utet 1971, pp. 640-641. Le dottrine organiciste “partendo da una posizione bioanalogica raffigurano genericamente lo Stato o la Società ad un organismo, in senso più stretto, ad un essere umano [...] si avvalgono del ragionamento analogico per ricavarne la conoscenza della struttura e le leggi del funzionamento dell'organismo sociale. Siffatta concezione, nessun organo avendo in sé lo scopo della propria esistenza, implica la cooperazione tra le parti al fine di garantire la conservazione dell’insieme” M. Marotta, Organicismo, Giuffrè, 1959, p. 2 e segg. Un nuovo approccio organicistico è stato proposto a partire dagli anni Venti del secolo scorso: ”fra i suoi proponenti c'erano il filosofo Alfred North Whitehead e Jan Smuts il cui libro Holism and Evolution (1926) concentrava l'attenzione sulla tendenza della natura a formare interi che sono maggiori della somma delle parti, attraverso l'evoluzione creativa" R. Sheldrake, Le illusioni della scienza cit., p. 11.
10. La metafora organicista è stata impiegata nella storia del pensiero per molteplici fini: per analizzare le forme di governo ritenute ottimali, per legittimare l'idea dell’evoluzione spontanea della società, per giustificare l’assegnazione dei ruoli nella società e difendere lo status quo, per giustificare la necessità di strutture autoritarie nella società, per affermare la supremazia del potere religioso su quello temporale, per affermare la prevalenza della società sul singolo individuo, per spiegare il funzionamento delle leggi dell’economia, etc. Non sono mancate interpretazioni calate nell’agone della lotta politica: cfr. l’enciclica Quod apostolici muneris del 1878 di Leone XIII e gli strali polemici dei rivoluzionari russi sulla dottrina organicista ritenuta giustificatrice della società borghese, AA.VV., Rivoluzione russa, Opere complete, vol. 10, Edizioni Rinascita, pp. 252-263.
11. O.M. Aïvanhov, Pensieri Quotidiani, 13 marzo 2001, Prosveta.
12. Idem, Pensieri Quotidiani, 9 agosto 2004. Idem, La felicità si trova nell’espansione della coscienza, in Opera omnia n. 23, Prosveta.
13. S. Zamagni, L’economia come se la persona contasse cit.
14. O.M. Aïvanhov, Pensieri Quotidiani, 13 marzo 2001, Prosveta.
15. S. Zamagni, L’economia come se la persona contasse cit.
16. P. Gilbert, Dono, simbolo e reciprocità, www.rivista.ssef.it.
17. Marco Aurelio, Pensieri, VI, 42,1.
18. A. De Tocqueville, La democrazia in America, Rizzoli, 1996, p. 515 e segg.
19. F. Capra - P. L. Luisi, op.cit., p. 452.
20. Ibidem.
21. S. Zamagni, Gratuità e agire economico: il senso del volontariato, Facoltà di Economia, Università di Bologna, Paper n.9, 2005, www.aiccon.it.
22. G. Arena, Il Principio di sussidiarietà orizzontale nell’art. 118, ultimo comma della Costituzione, www.astrid-online.it.
23. E. Boncinelli, Così la società cambia la struttura del cervello, Corriere della sera, 28 settembre 2008.
24. F. M. Dostoevskij, I fratelli Karamazov cit., p. 421.
25. A. Einstein, Perché il socialismo?, Monthly Review, 1949.
26. H. Maturana, Emozioni e linguaggio in educazione e politica, Euletera, 2006, p. 26; H. Maturana, F. Varela, L’albero della conoscenza, Garzanti, 1992, p. 204.
27. F. Caretta, Plausibilità scientifica della fraternità cit.
28. V. Gallese, Le basi neurofisiologiche dell’intersoggettività, in La società degli individui, n.37/2010, Franco Angeli.
29. J. Rifkin, op.cit., p. 3.
30. M. Novak, Supercooperatori, Altruismo ed Evoluzione, Codice edizione, 2012.
31. Dalai Lama, Una lettura buddista del Vangelo, Mondadori, 1996, p. 14.
32. U. Veronesi, Predestinati alla bontà dai nostri geni. Generosità e altruismo sono sentimenti innati nella specie umana, Corriere della Sera, 20 luglio 2009.
33. Cfr. www.enciclopediaolistica.com.
34. O.M. Aïvanhov, Pensieri Quotidiani, 16 dicembre 2002, Prosveta.
35. S. Zamagni, Il dono come buona pratica della gratuità, Rivista Dialoghi n. 3/2009.
36. O.M. Aïvanhov, Conferenza 11 luglio 1968 in Opera omnia n.25, Prosveta.
37. F. Capra - P.L. Luisi, op.cit., p. 181.
38. D. Chopra, Le coincidenze cit., p.35.
39. M. Laitman, Sulla Natura, www.laitman.it.
40. Cfr. www.bruce-lipton.it.
41. C. Remigio Rossi, La vita delle cellule, www.biosferanoosfera.it.
42. L. Bourgeois, Solidarité, Armand Colin et Cie éditeurs, Paris, 1896. La solidarietà, aveva ancor prima affermato Charles Gide, teorico dell’economia sociale, “est un fait, d'une importance capitale dans les sciences naturelles, puisqu’il caractérise la vie. Si l’on cherche, en effet, à définir l’être vivant, l’individu, on ne saurait le faire que par la solidarité des fonctions qui lient des parties distinctes“ Coopération économique et sociale 1886-1904, Les œuvres de Charles Gide, Vol. IV, p. 174. La solidarietà verso tutta l’umanità è presente anche nel socialismo utopico di Charles Fourier: “H. Renaud, référant à la théorie de Fourier dans son oeuvre de 1842, résume la théorie sous le nom de solidarité: «c’est qu’il ne nous est pas donné d’être heureux les uns sans les autres, c’est que tous les membres de la grande famille sont liés en un seul faisceau, par la loi divine, la solidarité. la solidarite est une chose juste et sainte [...] nous aurons a faire comprendre que les interets des hommes sont en tous points rigoureusement identiques». Ce qui veut dire: la solidarité, qualifié une «loi divine», établit un rapport secret entre tous les hommes»” così K. Röttgers, Théorie et pratique politique de la fraternité et de la solidarité dans la tradition européenne, Fernuniversitat in Hagen, www.fernuni-hagen.de. La definizione di solidarietà quale mera dipendenza reciproca di tutte le parti di un medesimo corpo, “si incontra nel Discours sur l'esprit positif (1844) di A. Comte, che usa il concetto nel senso di vincolo sociale senza ulteriori specificazioni, come sinonimo di coesione o integrazione sociale” R. Zoll, Solidarietà cit.
43. Riportato da F. Bastiat, Journal des Économistes, 15 juin 1848.
44. P. Donati, Il welfare in una società post-hobbesiana, www.sussidiarieta.net.
45. O.M. Aïvanhov, Pensieri Quotidiani, 10 marzo 2005, Prosveta.
46. J.M. Bergoglio, Messaggio per la celebrazione della giornata mondiale della Pace cit.
47. Aïvanhov osserva: “Ognuno deve fare il possibile per preservare i legami che lo uniscono a tutti gli altri membri della sua famiglia. La famiglia però non è fine a sé stessa ma, è solo un punto di partenza, una base destinata ad assicurare una forma di stabilità. Coloro che si concentrano sulla loro famiglia e lavorano soltanto a suo beneficio, dimenticando gli altri o perfino contrastandoli, per proteggere meglio i loro genitori o i loro figli, non si rendono conto che stanno creando le condizioni migliori per l'incomprensione e l'ostilità fra tutte le famiglie e questo finisce per assomigliare ad una lotta di clan, di tribù. La cosa peggiore è che questo stato d'animo non contribuisce nemmeno alla felicità della loro famiglia, e ne è prova il fatto che oggi un numero sempre crescente di famiglie si disgrega”, Pensieri Quotidiani, 5 marzo 2004, Prosveta.
48. L. Tolstoi, Amore e dovere, Libreria editrice moderna, 1921, p. 36.
49. O.M. Aïvanhov, Pensieri Quotidiani, 6 luglio 2001, Prosveta.
50. G. Pauli, Blue Economy, Edizioni Ambiente, 2010.
51. S. Zamagni, Gratuità e socialità cit.
52. E. Morin, Intervista pubblicata su Label France cit.
53. J.M. Bergoglio, Messaggio per la celebrazione della giornata mondiale della Pace cit
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PRIMA PARTE

Riflessioni storiche sul nostro travaglio collettivo e individuale

Modulo 1. Premessa storica. Riflessioni sull'evoluzione nella società delle idee laiche di solidarietà e fraternità.

SECONDA PARTE

Ricognizione del pensiero recente, maturato in tema di cooperazione e fraternità in prospettiva laica e sociale

Modulo 3. L’appello della cultura, nell’era della globalizzazione e delle interdipendenze, al valore di cooperazione, indispensabile quanto la libertà e l'uguglianza.

TERZA PARTE

La società e la Rete della vita. Riflessioni a supporto delle nostre scelte e di un possibile percorso di cambiamento verso una coscienza aperta agli interessi della collettività.

QUARTA PARTE

Ripensare le basi concettuali dell’educazione alla cittadinanza. Alle radici della questione morale...

Modulo 11 bis Il processo di adeguamento interiore alle prescrizioni civiche

QUINTA PARTE

Linee di sviluppo di nuove attitudini concrete, espressive dei valori di cooperazione, empatia...

Modulo 12. Mappa delle attitudini significative in coerenza con la visione sistemica della Vita

Attitudine a percepire la comune appartenenza alla Rete della Vita. La cura di se stessi
Attitudine alla scelta degli Ideali, pensieri e sentimenti per manifestare comportamenti civici
Attitudine alla scelta delle intenzioni
Attitudine alle relazioni empatiche. La rilevanza civica della empatia
Attitudine alla rivalutazione e alla sacralizzazione della vita quotidiana
Attitudine alla rivalutazione del corpo fisico e del suo apporto cognitivo
Attitudine a sperimentare il gusto e la pienezza della vita: la “scienza della Vita”
Attitudine a valorizzare il bene relazionale e i beni comuni
Attitudine alla rivalutazione del lavoro
Attitudine al dimensionamento dei bisogni individuali
Attitudine all'assunzione delle cariche pubbliche. L’esempio
Attitudine a relazioni improntate ai valori di giustizia
Attitudine al rispetto dell’ambiente interiore ed esteriore
Attitudine a vivere come cittadino dell’Universo