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    Attitudine alla rivalutazione e alla sacralizzazione della vita quotidiana

    "Se non ci disperdiamo in attività che ci indeboliscono, scopriamo che è proprio nelle azioni più semplici e più quotidiane che la vita ha nascosto i suoi veri tesori. Respirare, nutrirsi, camminare, aprire gli occhi sulla natura, amare, pensare... Ecco i veri doni della vita”

 

 

 

  1. Lo stato di coscienza di far parte della rete della Vita dovrebbe permeare tutte le nostre occupazioni (intellettuali, artistiche, etc.) e dovrebbe condurci a una vita quotidiana vissuta ragionevolmente e armoniosamente. Nel cap. V abbiamo evidenziato l’importanza cognitiva degli atti della vita quotidiana.
La stessa spiritualità, affermano Boff e Hathaway, “è un modo di essere, un atteggiamento fondamentale da vivere in ogni momento e circostanza. Mentre sbrigano le faccende domestiche, lavorano in fabbrica, guidano l'auto, chiacchierano con gli amici, vivono un momento di intimità con la persona amata, coloro i quali hanno fatto spazio alla profondità e all'elemento spirituale restano quadrati, sereni e pervasi di pace. Irradiano vitalità ed entusiasmo” (1).

Nel compiere tutte le azioni della vita quotidiana, afferma Aïvanhov, “anche quelle più insignificanti, dovete imparare a mettere in moto le forze e gli elementi che vi permettano di trasporle nel piano spirituale e di raggiungere così i gradi superiori dell’esistenza. Prendiamo ad esempio una giornata normale: ci si sveglia al mattino e, immediatamente, scatta tutta una serie di processi, di pensieri di sentimenti e anche di azioni: accendere la lampada, alzarsi, aprire la finestra, lavarsi, preparare la colazione, andare al lavoro, incontrare persone, etc. Quante cose! E tutti sono obbligati a compierle. La differenza sta nel fatto che alcuni le fanno meccanicamente, passivamente; altri invece, quelli che possiedono una filosofia spirituale, cercano di introdurre in ogni momento della giornata la maggiore intensità e purezza possibili, in modo da trasformare e dare a tutto un senso di nuovo; e così facendo, ricevono continuamente delle ispirazioni” (2).

 

Tutti noi abbiamo constatato che quando siamo in pace con noi stessi, abbiamo un’altra disponibilità verso la vita e le persone che ci circondano, proviamo momenti di dilatazione interiore e apprezziamo le cosiddette “piccole” cose della vita.

Il cooperatore riconosce gradualmente i vecchi paradigmi e automatismi bloccanti che operano in lui e li sostituisce con nuovi ideali che ama, cercando di sperimentare un nuovo gusto della vita. Egli coopera per il suo benessere, recuperando sani comportamenti negli scambi essenziali della vita quotidiana: nella nutrizione, nelle relazioni affettive, sociali, lavorative, etc.
Ma questa attitudine, lo sappiamo, non si costruisce con la sola attività riflessiva o speculativa o con un semplice e occasionale slancio del cuore. Occorrono idee di valore da incarnare e disciplina di vita al fine di percepire negli atti della nostra vita quotidiana, con gradualità, il benessere della essenzialità, il senso di unità e sacralità della Vita.


Peraltro, il compito dell’educazione dovrebbe essere proprio quello di trasmettere, affermava Schumacher, “idee di valore”, cioè idee che ci aiutino a comprendere cosa fare con la nostra vita. L’educazione non è semplice istruzione o conoscenza dei fatti. Essa deve trasmetterci idee che aiutino a capire il mondo. Quando le cose sono comprensibili si può avvertire il bisogno di partecipare, altrimenti si resta confinati nella passività. Se la mente non ha Idee forti, il mondo appare come un insieme di fenomeni scollegati (3).


Dovremmo ritrovare nella vita quotidiana, ciascuno secondo la propria naturale creatività, la poesia dei quattro elementi, meravigliosamente espressa nel Cantico delle creature. In sostanza, dovremmo abituarci a provare gioia, entusiasmo e autostima, non mediante l’assunzione di sostanze o la coltivazione di ambizioni improprie, ma vivendo poeticamente i momenti della vita con la partecipazione di tutto il nostro organismo.


La qualità della sacralità è abbinata, di regola, a determinati luoghi ritenuti sacri sulla base di particolari eventi o situazioni (4). In ragione della acquisita sacralità, questi luoghi sono stimati degni di protezione rispetto alla vita quotidiana ritenuta, invece, stressante e profana. Questa impostazione potrebbe essere anche condivisa. Ma perché dare per scontato che la nostra quotidianità debba essere prosaica, stressante, assordante, disarmoniosa e mediocre? Dare per scontato che la vita quotidiana debba essere banale, banalizza tutto sommato noi stessi in quanto si tratta della nostra vita. I luoghi ritenuti, laicamente o religiosamente, sacri (ad es. per la purezza della natura, o per la purezza di vita manifestata da un Mistico) dovrebbero istruirci sulle qualità da portare con noi nella vita di tutti giorni (5).

 

La dissacrazione, cui abbiamo assistito, di tanti aspetti della vita, che a molti pareva il segno di una grande conquista di libertà, oggi ha rivelato il suo volto amaro. Come acutamente ha osservato Scruton “davanti alle cose sacre le nostre vite vengono giudicate; e per sfuggire a quel giudizio, noi distruggiamo la cosa che sembra accusarci. E siccome la bellezza ci ricorda del sacro, e anzi di una forma speciale di esso, anche la bellezza deve venire dissacrata” (6). La bellezza, infatti, ci invita a guardare al mondo con rispetto, “si pensi a Iago quando dice di Cassio: «c’è una bellezza nella sua vita che mi rende brutto»” (7).

A ben vedere, dissacrare significa depredare ciò che diversamente potrebbe essere serbato nella sfera delle cose consacrate (8). Ed è quello che ci siamo impegnati a fare, purtroppo, ritenendo di percorrere la strada giusta anche per gli adolescenti in vista del loro presunto benessere e sviluppo individuale.

 


Come ha osservato Lorenz, “il senso estetico e quello morale sono evidentemente strettamente collegati […] sia la bellezza della natura sia quella dell'ambiente culturale creato dall'uomo sono manifestamente necessarie per mantenere l'uomo psichicamente e spiritualmente sano. La totale cecità psichica di fronte alla bellezza in tutte le sue forme, che oggi dilaga ovunque così rapidamente, costituisce una malattia che non va sottovalutata, se non altro, perché va di pari passo con l'insensibilità verso tutto ciò che è moralmente condannabile. Coloro cui spetta la decisione di costruire una strada, o una centrale elettrica o una fabbrica che deturperà per sempre la bellezza di una vasta zona, sono del tutto insensibili alle istanze estetiche. Dal sindaco di un piccolo paese […] tutti sono d'accordo nel ritenere che non valga la pena di fare sacrifici economici, e tanto meno politici, per difendere la bellezza del paesaggio […]. Avviene infatti che un comune che possiede piccoli appezzamenti di terreno sul limitare di un bosco scopra che questi aumenteranno di valore se saranno collegati da una strada; e ciò basta perché il grazioso ruscello che attraversa il paese venga deviato, incanalato e ricoperto di cemento, e perché un bel viottolo di campagna venga immediatamente trasformato in una orrenda strada di periferia” (9).


Vi sono ancora, e forse per sempre, sostiene Morin, ”molte cose che oltrepassano l’orizzonte della comprensione scientifica. Principi ordinatori dell’universo e della vita che non sono riproducibili in laboratorio. E che sarebbe bene riconoscere e rispettare. Coltivare una idea di sacralità della Terra e del vivente non è affatto riprovevole, non è indice di arretratezza, primitivismo” (10).

 

2. Ad esempio, se recuperassimo la sacralità dell’atto quotidiano della nutrizione, non genereremmo distorsioni nella gestione delle risorse della terra e danni alla salute, non sottrarremmo risorse ai bisognosi, non provocheremmo violenza nel mondo animale. Afferma Boff che la “cura del nostro inserimento nello stare nel mondo coinvolge la nostra dieta: quello che mangiamo e beviamo. L’atto di mangiare più che un atto di nutrizione, è un rito di celebrazione e di comunione con gli altri commensali e con i frutti della generosità della Terra” (11). Sta crescendo la consapevolezza, ha osservato giustamente Mancuso, che tra la dimensione materiale del nostro organismo e la dimensione spirituale del nostro essere non c’è una barriera. Quello che mangiamo influenza la nostra spiritualità. In questa prospettiva, afferma Mancuso, va considerata ad esempio, l’importanza di una dieta che sia “non violenta” cioè che non contenga carne animale” (12). In tutte le tradizioni spirituali, la nutrizione ha avuto, infatti, un peso importante. Ad esempio, il pranzo in collettività, il cd. banchetto, era un “luogo” tipico del cristianesimo delle origini, inteso non come occasione di mera convivialità ma come occasione concreta di fraternità umana ed universale: “la stessa parola agape era usata dai primi cristiani per definire la cena fraterna, il banchetto” (13). L’atto della nutrizione non va considerato, dunque, come predazione, ma come comunione, come atto permeato da pensieri e sentimenti di gratitudine e universalità. Aïvanhov ha illustrato con mirabile compiutezza e poesia la sacralità della nutrizione e del pranzo in collettività, restituendo un rinnovato significato al ‘banchetto fraterno’: ”il cibo è una lettera d'amore da decifrare... non mangiamo per nutrire esclusivamente il nostro corpo fisico… noi mangiamo per nutrire anche il nostro cuore, il nostro intelletto, la nostra anima e il nostro spirito" (14).

La nuova attitudine alla nutrizione, da non confondere con la tematica delle diete e del galateo, può agevolmente diventare occasione quotidiana per esprimere una natura più evoluta e sensibile. La nutrizione armoniosa è in effetti un modo dolce, semplice, adatto a tutti, per accedere ad una percezione più universale, per aprirsi ad interessi più ampi rispetto a quelli del semplice ego. È un modo per sperimentare una qualità della vita più cooperativa e poetica e per addomesticare le nostre tendenze egocentriche. Questo ragionamento beninteso può essere esportato in tutte le cose che facciamo nel quotidiano per ritrovare un senso arricchente e benefico. Una volta che abbiamo provato a vivere diversamente la nutrizione e abbiamo vissuto una esperienza interiormente gratificante, sarà più agevole per noi estendere la nuova sensibilità acquisita anche ad altre aree della nostra esistenza. Ma se nulla sperimentiamo, tutto si riduce a un semplice discorrere. La sperimentazione appare l’unica strada percorribile per la crescita. Peraltro, in materia di nutrizione, la sperimentazione può essere anche più facilmente condivisa e apprendibile in quanto molte persone, da tempo, praticano nuove attitudini verso la nutrizione. Osserva Aïvanhov, “quante persone turbate da una vita farraginosa, cercano un mezzo per ritrovare l’equilibrio! Pensano di trovarlo praticando lo yoga, lo zen o la meditazione trascendentale, oppure imparando una tecnica di rilassamento. È vero che questi metodi sono tutti validi, tuttavia, secondo me, esiste un esercizio più facile e più efficace: imparare a mangiare correttamente. Vi sorprende? Invece di mangiare senza pensare a nulla, nel frastuono, in uno stato di nervosismo, nella fretta o perfino litigando, e poi andare a fare dello yoga! […]. Non sarebbe meglio comprendere che ogni giorno, due o tre volte al giorno, vi si offre l’occasione di fare un ottimo esercizio di rilassamento, di concentrazione e di armonizzazione di tutte le vostre cellule?”(15)

Se riflettiamo sulle nostre intenzioni che abbiamo nei confronti dell’atto della nutrizione, possiamo avere, da subito, un oggettivo punto di partenza per costruire una nuova attitudine. A ben vedere, le intenzioni con le quali ci nutriamo dànno effettivamente il senso all’atto quotidiano della nutrizione, come è agevole desumere direttamente dalla nostra esperienza di vita: possiamo assumere il cibo con indifferenza, con voracità, con bramosia, in uno stato di collera, oppure, con amore, armonia e gratitudine (16).

3. Ad esempio, se i genitori risacralizzassero le relazioni affettive, a partire dal concepimento, da una sana gravidanza e da una prima educazione, eviterebbero molti pregiudizi ai loro figli. Il genio di Leonardo aveva già intuito, a proposito dell’influenza che la madre esercita sulla creatura che porta in grembo, che “una medesima anima governa questi due corpi e li desideri e le paure e i dolori son comuni sia ad essa creatura come a tutti li altri membri animati […]. L'anima della madre al tempo debito desta l'anima che di quel debe essere abitatore, la qual prima resta addormentata e in tutela dell'anima della madre, la qual [le] nutrisce e vivifica per la vena umbilica” (17). In effetti, un importante tassello del nostro mondo percettivo-valoriale si attiva già ab origine, cioè dal concepimento. Di questo i genitori devono esserne consapevoli al fine di porre al bando condotte insensibili ed egocentriche. Peraltro, da decenni gli studi scientifici evidenziano l’importanza di queste problematiche. Da ultimo, anche lo studio di Ammaniti e Gallese, già citato, colloca la genesi della intersoggettività proprio nella vita intrauterina. Chi ha attitudini veramente evolute concepisce con amore e vive la sessualità come comunione. La ricerca del sacro, della poesia, della bellezza e della onestà non si arresta, ma entra anche nell’area della sessualità.

4. Ad esempio, se risacralizzassimo le relazioni con la Terra quante condotte dannose potremmo evitare. Boff ci invita ad esperire questa sacralizzazione, ci invita a “recuperare le attitudini di venerazione e rispetto per la Terra. Questo accadrà solamente se prima riscatteremo la dimensione femminile nell’uomo e nella donna che rende disponibili alla cura, sensibili verso l’aspetto più profondo e misterioso della vita, recuperando la capacità di meravigliarsi. Il femminile aiuta a riscattare la dimensione della sacralità. La sacralità impone sempre dei limiti alla manipolazione del mondo, quindi dà origine alla venerazione e al rispetto, sentimenti fondamentali per la salvaguardia della Terra. Crea la capacità di ri-legare tutte le cose alla loro origine creatrice... Da questa capacità rilegatrice nascono tutte le religioni e oggi abbiamo bisogno di rivitalizzare le religioni affinché compiano la loro funzione rilegatrice” (18).

 

5.Se ponessimo maggiore attenzione nel vivere, osserva il filosofo Michel Serres, in una prospettiva laica, potremmo cogliere il nucleo profondo di tessitura e rilegatura proprio della religiosità umana che rischiamo di dimenticare e smarrire con la nostra negligenza: “Noi non cessiamo di perdere la memoria degli atti cui si dedicavano i preti in angoli bui e segreti dove, in solitudine, vestivano la statua di un dio, la ornavano, la pulivano… la sollevavano o la portavano fuori… tutti i giorni e tutte le notti, all'alba… temevano forse che una sola pausa in questa manutenzione continua, infinita, lasciasse spazio a conseguenze formidabili? Amnesici, noi crediamo che adorassero il dio o la dea, scolpiti in pietra o legno; no, davano alla cosa stessa, marmo o bronzo, la parola, conferendole l'apparenza di un corpo umano dotato di voce. Celebravano insomma il loro patto col mondo. Noi dimentichiamo del pari per quali ragioni i monaci benedettini si alzino prima dell'alba per cantare mattutini e laudi… o rimandino il loro riposo fino a tardi nella notte per salmodiare ancora… non serbiamo il ricordo delle preghiere necessarie né di questi riti perpetui. Eppure, non lontano da noi, trappisti, carmelitani ancora sgranano senza sosta l'ufficio divino. Non seguono il tempo, lo sostengono […]. La religione “ripassa, fila, annoda, unisce, raccoglie, lega, rilega, rileva, legge o canta gli elementi del tempo […]. I dotti dicono che il termine religione potrebbe avere due fonti o origini. Secondo la prima significherebbe, attraverso un verbo latino: rilegare. Ci lega gli uni agli altri, assicura forse il legame tra questo mondo e un altro? Stando alla seconda, più probabile, vorrebbe dire riunire, raccogliere, rilevare, percorrere o rileggere. Ma non dicono mai quale termine sublime la lingua contrappone al religioso, per negarlo: la negligenza. Chi non ha religione alcuna non deve dirsi ateo o miscredente ma negligente. La nozione di negligenza fa capire il nostro tempo” (19).

Tutti noi affermiamo che la vita è il bene più prezioso, però, di fatto, la negligiamo e agiamo in modo da non valorizzarla, dedicandoci a una molteplicità di attività non sempre costruttive: “se, anziché disperdersi in attività che li indeboliscono, si sforzassero di sviluppare le proprie facoltà psichiche e spirituali, scoprirebbero che è proprio nelle azioni più semplici e più quotidiane che la vita ha nascosto i suoi veri tesori. Respirare, nutrirsi, camminare, aprire gli occhi sulla natura, amare, pensare... Ecco i veri doni della vita” (20).


Dobbiamo svolgere questa opera di tessitura nel quotidiano della vita per trovare la bellezza, il benessere, l’intima gratificazione, la poesia degli attimi che scandiscono il nostro esistere, dal primo risveglio al sonno ristoratore. Se non cogliamo questi singoli attimi, se non facciamo questa opera di rilegatura, vuole dire che non siamo presenti in quanto siamo altrove con la nostra coscienza. Ciò significa che poniamo in azione comportamenti automatici e che non assaporiamo i doni della vita in quanto siamo catturati da sirene mentali o emozionali di varia natura le quali ci allontanano dal nostro presente, cioè dalla nostra vera vita. Anche l’educazione a vivere il presente fa parte della cura del Sé (cfr. modulo 10).

 

 

1. L. Boff - M. Hathaway, op. cit., p. 532.
2. O.M. Aïvanhov, Regole d’oro per la vita quotidiana cit.
3. E. F. Schumacher, Small is beautiful: A Study of Economics cit.
4. Sacro "è parola indoeuropea che significa ‘separato’. La sacralità è una qualità che inerisce a ciò che ha relazione e contatto con potenze che l´uomo, non potendo dominare, avverte come superiori a sé, e come tali attribuibili a una dimensione, in seguito denominata "divina", pensata comunque come "separata" e "altra" rispetto al mondo umano. Dal sacro l´uomo tende a tenersi lontano, come sempre accade di fronte a ciò che si teme, e al tempo stesso ne è attratto come lo si può essere nei confronti dell´origine da cui un giorno ci si è emancipati [...]. Al regno del sacro non appartengono solo le creature soprannaturali, Dio, gli dei [...] ma anche la natura per quel tanto che è estranea alla cultura [...]. Oltre alla lettura religiosa, del sacro si danno infatti anche interpretazioni antropologiche e psicologiche, perché il sacro non è solo "esterno" all´uomo, ma anche "interno" ad esso, come suo fondo inconscio, da cui un giorno la coscienza si è emancipata e resa autonoma” U. Galimberti, Il bene e il male attraverso il mistero, Repubblica, 7 marzo 2005.
5. “Questa è l’epoca delle piccole cose”, scrive Danon, “proprio perché tutto sembra convincerci che è difficile, anzi impossibile, per ogni piccolo individuo cambiare davvero il mondo, proprio per questo possiamo invece sottolineare e affermare il potere dimostrativo di tutto quanto di concreto può essere fatto nel quotidiano, attraverso un sorriso, un gesto, una scelta […]. La realtà quotidiana va intrisa di valori, va intessuta di piccole azioni che testimoniano l’orientamento di un pensiero, di un anelito, che danno ancora più potere a una alta visione perché questa si aggancia concretamente alla realtà. Alla fine sono le idee che cambiano il mondo, ma solo quelle che col mondo sanno trovare un collegamento concreto e costruttivo, solo quelle che sanno incidere sulla realtà. È nel tradurre un ideale in azione che diamo potere alla forza dell’idea che ci anima, che onoriamo la nostra più vera natura di liberi pensatori e di creatori del mondo” M. Danon, Il valore delle piccole cose, www.lifegate.it
6. R. Scruton, La Bellezza. Ragione ed esperienza estetica, Vita e Pensiero, 2011, p. 148. Osserva Scruton: “A qualunque persona istruita, e in un qualunque momento storico fra il 1750 e il 1930, fosse stato chiesto di descrivere lo scopo della poesia, della pittura, della scultura o della musica, la risposta sarebbe stata: "La bellezza” […]. Poi, nel secolo XX, la bellezza ha smesso di essere importante. Il fine dell’arte è diventato con sempre maggior frequenza quello di turbare, di rompere tabù morali. Non è più stata la bellezza a essere glorificata, ma l’originalità, comunque raggiunta e a qualunque costo morale. Non solo la pittura e la scultura hanno affermato il culto della bruttezza; anche l’architettura è diventata senz’anima e sterile. E non è solo ciò che fisicamente ci circonda a esser diventato brutto: il nostro linguaggio, la nostra musica e le nostre maniere sono diventati sempre più scabri, egocentrici e offensivi, come se la bellezza e il buon gusto non trovassero più un loro posto nelle nostre vite. Una parola è scritta a chiare lettere su tutte queste brutte cose. Questa parola è: "Io". Il mio guadagno, i miei profitti, i miei desideri, il mio piacere [...] personalmente, penso che stiamo rischiando di perdere la bellezza. E vi è il pericolo che, con lei, perderemo anche il senso della vita. I grandi artisti del passato erano consapevoli che la vita umana è caratterizzata dalla confusione e dalla sofferenza, ma essi trovavano a ciò un rimedio: la bellezza è il suo nome. L’arte riesce a portare consolazione nella sofferenza e conferma nella gioia. Essa mostra che la vita umana è degna di essere vissuta. Sembra che molti artisti contemporanei si siano stancati di questo sacro compito” R. Scruton, Perché la bellezza ha importanza, Cristianità n. 364/2012.
7. Ibidem, la frase citata è tratta da W. Shakespeare, Otello, atto 5, scena I, vv. 19-20, Feltrinelli, 1996, p. 225.
8. R. Scruton, La Bellezza. Ragione cit., p. 148.
9. K. Lorenz, Gli otto vizi capitali cit., p. 20 segg.
10. E. Morin, La via, Raffaello Cortina, 2011, p. 5.
11. L. Boff, Cura del corpo versus culto del corpo, 2013, leonardoboff.wordpress.com.
12. V. Mancuso, Nutrire il corpo, nutrire l’anima, conferenza al Palazzo Ducale di Genova, 11 aprile 2014.
13. L. Bruni, Economia e fraternità cit.
14. Cfr. per i necessari approfondimenti sul tema, O.M. Aïvanhov, Lo yoga della nutrizione cit. “Quando ricevete una lettera da una persona che vi è molto cara, la leggete e la rileggete con attenzione per percepirne e apprezzarne tutte le sfumature: ogni parola vi sembra contenere tutto un mondo di significati da scoprire. Cercate di avere la stessa considerazione per la lettera d'amore del Creatore. Quella lettera è la più potente, la più eloquente, poiché in essa è scritto: «Ecco, vi do la vita!»” Idem, Pensieri Quotidiani, 8 settembre 2014, Prosveta.
15. O.M. Aïvanhov, Regole d’oro per la vita quotidiana cit.
16. Ibidem.
17. Capra commenta nei seguenti termini il brano di Leonardo: ”Negli studi di embriologia, Leonardo descrive con linguaggio poetico il nesso tra l'anima della madre e quella del nascituro. Quello che egli sostiene (per usare i termini della scienza di oggi) è che la formazione del corpo embrionale e l'organizzazione del suo metabolismo sono guidati in un primo momento dai processi cognitivi della madre, e che le capacità di auto-organizzazione dell'organismo fetale emergono a poco a poco, insieme allo sviluppo delle sue funzioni cognitive. La finezza della descrizione di Leonardo dell'emergere e svilupparsi della vita mentale dell'embrione di pari passo con quella del suo corpo è davvero sbalorditiva” F. Capra, L’Anima di Leonardo cit., p. 327. Cfr. O.M. Aïvanhov, L’educazione inizia prima della nascita, Prosveta; M. Ammaniti, V. Gallese, La nascita dell'intersoggettività cit.
18. L. Boff, Le quattro ecologie, www.lastelladelmattino.org. cit.
19. M. Serres, Contratto naturale, Feltrinelli, 1990, p. 65.
20. O. M. Aïvanhov, Pensieri Quotidiani, 2 agosto 2014, Prosveta.

“C’è una rete della vita che unisce la vita interiore, la vita biologica, la vita sociale, la vita culturale…Questa trama invisibile va studiata, compresa e amata”

“Se l’ideale è come una mappa… l’ideale del perfezionamento individuale nella prospettiva della fraternità universale esprime la mappa più estesa, più ricca di percorsi cioè di potenzialità cognitive ed emotive”

“Il dipanarsi della vita è oggettivamente condizionato dalle intenzioni, cioè dalle finalità che ciascuno si autoprefigge in quanto queste ultime dànno senso alla nostra interpretazione del mondo, al nostro ruolo nel mondo”

Gli esseri umani sono predisposti a essere empatici, a identificare quello che provano gli altri, a condividere i loro sentimenti con un’emozione corrispondente, ad accogliere le loro gioie e i loro dolori

Se non ci disperdiamo in attività che ci indeboliscono, scopriamo che è proprio nelle azioni più semplici e più quotidiane che la vita ha nascosto i suoi veri tesori. Respirare, nutrirsi, camminare, aprire gli occhi sulla natura, amare, pensare... Ecco i veri doni della vita”

"L’organismo fisico che vive bene, in armonia… favorisce i processi cognitivi e agevola la generazione in noi di immagini mentali altamente benefiche le quali agiscono a loro volta favorevolmente sui nostri comportamenti”

“Ogni vita richiede una scienza: la vita della pianta che vuoi coltivare... la tua stessa vita che devi sviluppare. Per vivere, bisogna saper vivere”

“Una comunità che non sa esprimere e valorizzare le attitudini cooperative è più povera di capitale sociale e civile e avrà maggiori difficoltà ad attivare circoli virtuosi di sviluppo”

“Il lavoro dovrebbe essere una grande gioia ed è ancora per molti tormento, tormento di non averlo, tormento di fare un lavoro che non serva e non giovi a un nobile scopo”

“Non si tratta soltanto di adottare stili di vita improntati alla sobrietà ma di aprire la nostra coscienza, nel quotidiano, agli interessi sensibili della Rete della Vita… dalla crescita quantitativa dobbiamo arrivare alla crescita qualitativa”

“Non possiamo essere affidabili verso la collettività se siamo schiavi di debolezze a causa delle quali l’interesse collettivo è potenzialmente subordinato a quello personale”

 


“Non dobbiamo essere come una voragine che prende senza restituire, ma dobbiamo restituire ciò che ci è stato dato"

“Dobbiamo proteggere le risorse naturali, la sacralità della Natura, ma occorre proteggere anche la sacralità della vita interiore. In entrambi i casi, abbiamo risorse da rispettare”

“Quanto più espandiamo il senso della nostra appartenenza, tanto più aumentiamo la mappatura del mondo su di noi, e quindi le nostre capacità intellettive ed emotive”

 

PRIMA PARTE

Riflessioni storiche sul nostro travaglio collettivo e individuale

Modulo 1. Premessa storica. Riflessioni sull'evoluzione nella società delle idee laiche di solidarietà e fraternità.

SECONDA PARTE

Ricognizione del pensiero recente, maturato in tema di cooperazione e fraternità in prospettiva laica e sociale

Modulo 3. L’appello della cultura, nell’era della globalizzazione e delle interdipendenze, al valore di cooperazione, indispensabile quanto la libertà e l'uguglianza.

TERZA PARTE

La società e la Rete della vita. Riflessioni a supporto delle nostre scelte e di un possibile percorso di cambiamento verso una coscienza aperta agli interessi della collettività.

QUARTA PARTE

Ripensare le basi concettuali dell’educazione alla cittadinanza. Alle radici della questione morale...

Modulo 11 bis Il processo di adeguamento interiore alle prescrizioni civiche

QUINTA PARTE

Linee di sviluppo di nuove attitudini concrete, espressive dei valori di cooperazione, empatia...

Modulo 12. Mappa delle attitudini significative in coerenza con la visione sistemica della Vita

Attitudine a percepire la comune appartenenza alla Rete della Vita. La cura di se stessi
Attitudine alla scelta degli Ideali, pensieri e sentimenti per manifestare comportamenti civici
Attitudine alla scelta delle intenzioni
Attitudine alle relazioni empatiche. La rilevanza civica della empatia
Attitudine alla rivalutazione e alla sacralizzazione della vita quotidiana
Attitudine alla rivalutazione del corpo fisico e del suo apporto cognitivo
Attitudine a sperimentare il gusto e la pienezza della vita: la “scienza della Vita”
Attitudine a valorizzare il bene relazionale e i beni comuni
Attitudine alla rivalutazione del lavoro
Attitudine al dimensionamento dei bisogni individuali
Attitudine all'assunzione delle cariche pubbliche. L’esempio
Attitudine a relazioni improntate ai valori di giustizia
Attitudine al rispetto dell’ambiente interiore ed esteriore
Attitudine a vivere come cittadino dell’Universo