Attitudine a percepire la comune appartenenza alla Rete della Vita. La cura di se stessi.

    “C’è una rete della vita che unisce la vita interiore, la vita biologica, la vita sociale, la vita culturale… Questa trama invisibile va studiata, compresa e amata”

 

 

 

1. Attitudine a percepire la comune appartenenza alla Rete della Vita. La cura di se stessi.

 

Nei precedenti moduli, abbiamo constatato che il percorso di cambiamento esige una revisione della propria vita quotidiana: cioè una reinterpretazione e risacralizzazione del significato degli atti della vita quotidiana al fine di ampliare e sviluppare la coscienza del “Sé” altruistico.


Abbiamo evidenziato che la coscienza è legata alla vita di tutto l'organismo (fisico, psichico e mentale) e che essa può svilupparsi se miglioriamo la qualità dei pensieri e dei sentimenti che incarniamo nel nostro modo di vivere quotidiano. Una volta che iniziamo a espandere gradualmente la nostra coscienza, cominciamo a percepire nuove relazioni, a sentire nuovi legami e tutto ciò cambia, naturalmente, i nostri comportamenti.


Dobbiamo premettere però che il recupero di nuovi valori quali quelli di cooperazione produce anche “l’esigenza di sviluppare un pensare inedito, difficile ma ineludibile, capace di confrontarsi con la complessità” (1). Complesso, ricorda Morin, “significa ciò che è tessuto insieme; si ha complessità quando sono inseparabili i differenti elementi che costituiscono un tutto (come l’economico, il politico, il sociologico, lo psicologico, l’affettivo...). La complessità è il legame tra l’unità e la molteplicità” (2). Conseguentemente, un pensiero complesso si configura come un sapere non parcellizzato, come un sapere che ingloba invece di separare. In questa prospettiva, la complessità non concerne solo il sapere scientifico, ma anche tutte le nostre forme di conoscenza e di convivenza e quindi anche la fraternità (3).


Ciò detto, in questo modulo cercheremo di enucleare, sulla base delle idee e delle sensibilità emergenti, tracce e linee di sviluppo di attitudini civiche fattibili e significative di un avvicinamento a una coscienza cooperativa ed empatica.
L’impiego della parola “attitudine” non è casuale in quanto con essa vogliamo evidenziare non tanto una predisposizione naturale quanto un atteggiamento, un modo di essere da tenere nelle varie evenienze della vita quotidiana (4). Ad esempio, possiamo avere una attitudine orgogliosa e conflittuale in tutte le cose che facciamo oppure una attitudine di cooperazione empatica. L’attitudine si monitora, si aggiusta, si migliora e si conquista giorno per giorno e ci parla del nostro reale mondo interiore.


Questa attitudine è anche “civica” in quanto esprime un modo di essere dell’uomo quale cittadino non di uno Stato, ma di un’ampia collettività che noi possiamo chiamare “Rete della vita”, secondo la terminologia scientifica impiegata da F. Capra. In questa prospettiva le nostre condotte, interiori ed esteriori, sono sempre civiche in quanto non possono oggettivamente essere estranee alla Rete della Vita della quale facciamo necessariamente parte (modulo IV).
Percepire la comune appartenenza alla Rete della Vita diventa, dunque, fondamentale sul piano dell’acquisizione di una nuova consapevolezza comportamentale.


Ha scritto giustamente un sociologo che il “dono che il mistico riceve è la percezione che tutto si riduce a unità ed è mirabilmente legato, che c’è armonia tra ogni parte del mondo esterno e l’esperienza interiore… questa armonia è l’intuizione che l’uno prevale sul due che l’unità interiore e di tutto il cosmo supera dualismi e divisioni” (5).
Ma anche se noi non siamo mistici in grado di “vedere” l’Unità in tutte le diverse manifestazioni della Vita, possiamo, comunque, sforzarci di percepire frammenti di questa Unità, di questa Comunione, cercando di incarnare nuove attitudini che ci avvicinino gradualmente a modelli sempre più cooperativi ed espressivi della nostra natura più vera.
Il senso di unità, peraltro, “è pienamente confermato dalla comprensione della realtà nella scienza contemporanea… vi sono numerose somiglianze fra la visione del mondo dei mistici, sia orientali che occidentali, e la concezione sistemica della natura che si sta sviluppando in numerose discipline scientifiche. La consapevolezza di essere connessi con tutta la natura... relazione e interdipendenza sono concetti fondamentali. Quando guardiamo il mondo che ci circonda, scopriamo che non siamo gettati nel caos e nella casualità, ma che siamo parte di un grande ordine… Ogni molecola nel nostro corpo è stata parte precedentemente di altri corpi-viventi o non viventi-e sarà parte di altri corpi in futuro, condividiamo con il resto del mondo vivente non solo le molecole della vita, ma anche i principi di organizzazione di base. E poiché anche la nostra mente è incarnata, i nostri concetti e le nostre metafore sono incarnati nella rete della vita insieme con i nostri corpi e i nostri cervelli. Certamente, apparteniamo all'universo, e questa esperienza di appartenenza può rendere la nostra vita profondamente significativa”(6).


Ad esempio, l’empatia è una importante porta di accesso alla percezione della Rete della Vita. Quando entriamo in profonda empatia con qualcosa cominciamo anche a prenderci cura di quella realtà che avvertiamo come “nostra”. Se, ad esempio, entriamo in empatia con i fiumi ne abbiamo un profondo rispetto perché li sentiamo parte di noi, perché ne avvertiamo la vita, la purezza, ne avvertiamo la sacralità e conseguentemente avvertiamo il bisogno spontaneo di non sporcarli. Se, ad esempio, entriamo in empatia con gli animali non solo li rispettiamo ma non li mangiamo (7). Se entriamo in empatia con il nostro organismo, sicuramente non fumiamo, cioè non avveleniamo le cellule del nostro stesso organismo.

Certamente, l’empatia non ha una intensità uniforme, in quanto vi sono diversi gradi e dimensioni di stati empatici. La scintilla empatica può scattare improvvisamente anche tramite un semplice sguardo che genera un quid nella coscienza. Ma questa congenita sensibilità che tutti abbiamo può essere rafforzata ed educata per meglio armonizzarci nella realtà quotidiana alla Rete della Vita nella quale viviamo. Boff ci invita, giustamente, a migliorare l’empatia non solo con tutte le creature viventi ma anche con la terra, l’aria e l’acqua che fanno parte di noi (8).


Il fisico Capra ci ricorda che la natura e gli esseri viventi non sono entità isolate, ma sono “sistemi viventi” in stretta interdipendenza. La somma delle relazioni che legano gli universi della psiche, della biologia, della società e della cultura è una rete, la “Rete della vita”. Questa rete unisce la vita interiore, la vita biologica, la vita sociale, la vita culturale. Questa trama invisibile, osserva Capra, va studiata, compresa e amata; dobbiamo lavorare in sintonia con essa e con le sue “connessioni nascoste” e non contro di essa (9).

C’è una immensa catena che lega tutti gli esseri viventi, afferma Aïvanhov: “tutti gli esseri umani sono vostri fratelli, vostre sorelle, imparate ad accettarli… Non imitate mai quelli che evitano gli altri col pretesto che sono inferiori a loro. Sta a ciascuno scoprire come stabilire veri contatti con gli altri. Il sapiente sia felice di dare il proprio sapere e il saggio di dare la propria luce. Il forte sia felice di sostenere il debole, e il ricco di aiutare il povero, e il debole e il povero siano riconoscenti di sentirsi aiutati! Tutti coloro che, in qualsiasi campo, rifiutano di far circolare le proprie ricchezze, sono come acque stagnanti: non scopriranno mai il senso della vita, poiché la vita esiste unicamente nella circolazione, negli scambi” (10).

 

Nello stesso senso si è detto che muore ciò che non circola: “c’è una sorta di legge sociale che fa sì che quel che non circola muore, come è per il Mar Morto e per il lago di Tiberiade, che pur formati dallo stesso fiume, il Giordano,, sono l’uno morto e l’altro vivo, perché il primo conserva tutta l’acqua per sé, il secondo la dà ad altri fiumi” (11).

Appare fondamentale, dunque, la coscienza di far parte di una comunità, della rete della Vita: “Nei prossimi decenni, la sopravvivenza dell’umanità dipenderà dalla nostra capacità di comprendere i principi che sostengono la vita e di vivere in conformità con questi. Pertanto, la consapevolezza di essere parte di “un tutto” e di come funzionano i sistemi viventi che ne fanno parte dovrà diventare una competenza imprescindibile per i politici, gli amministratori, gli insegnanti e costituire la parte più importante dell’istruzione a tutti i livelli, dalle scuole primarie e secondarie, fino all’università e alla formazione permanente“ (12).

Se accogliamo questa realtà oggettiva, dobbiamo sviluppare nuove sensibilità ai legami che intercorrono tra di noi al fine di diventare cooperatori e non profittatori delle risorse (materiali, affettive, etc.) offerte dalla Rete della vita.
Non a caso anche Bergoglio nel messaggio inaugurale del suo Pontificato, “ha usato più di otto volte le parole aver cura”, ha osservato Boff, ad avviso del quale “è l’etica della cura, quella che salverà la vita umana e garantirà la vitalità degli ecosistemi. Francesco di Assisi, patrono dell’ecologia, sarà il paradigma di una relazione rispettosa e fraterna con tutti gli esseri, non sopra ma ai piedi della Natura” (13).

La cura deve, evidentemente, iniziare da se stessi o meglio dalla cura del proprio “Sé”, della propria identità cooperativa e fraterna relativamente all’organismo nella sua totalità. Non si tratta di una cura applicata al solo corpo, al solo intelletto o ai soli sentimenti. Questo bisogno di cura si era già manifestato nella antichità, evidentemente, essendo connaturato alla nostra natura (cfr. modulo V).
Il cooperatore si prende cura di se stesso e, con umiltà, invita, ove possibile, gli altri a fare altrettanto. Il «prendersi cura di se stessi» esige due chiarimenti, osservava Foucault,: “a) che cosa sia il sé di cui ci si deve prendere cura, b) in che cosa consista questa cura” (14).

 

Nella nostra prospettiva, come appena rilevato, il “Sé” di cui prendersi cura è quello cooperatore, fraterno, legato alla nostra natura altruistica in tutti gli scambi che avvengono nella vita quotidiana. Questo “Sé” possiamo anche chiamarlo, seguendo Socrate, il “Sé” divino dell’uomo.

Con riguardo alle modalità della cura del “Sé”, lo stesso Foucault investigando nella cultura greca antica (i greci impiegavano l’espressione “epimeleia heautou”, i latini “cura sui”) ne ha evidenziato alcuni contenuti per noi tuttora validi: la cura del Sé contiene ”in primo luogo il tema di un atteggiamento generale, di un certo modo di considerare le cose, di essere nel mondo […] il che significa che l’epimeleia heautou è un atteggiamento: verso di Sé, verso gli altri, verso il mondo […] in secondo luogo una certa forma di attenzione, di sguardo […] curarsi di se stessi implica un certo modo di vigilare intorno a quel che si pensa e a quel che accade nel pensiero. Vi è infatti affinità della parola epimeleia con meletē, che significa al contempo esercizio e meditazione […] in terzo luogo azioni esercitate da sé su di sé, quelle attraverso le quali ci si fa carico di sé, quelle per mezzo delle quali ci si modifica, ci si purifica, ci si trasforma […] mi riferisco, per esempio, alle tecniche di meditazione, alle tecniche per l’esame di coscienza, o ancora a quelle volte a sottoporre a verifica le rappresentazioni via via che esse si affacciano alla mente, eccetera” (15).


Evidentemente, quelli citati sono solo alcuni degli strumenti possibili. Ciascuno deve scegliere il percorso metodologico più congeniale al proprio avanzamento e sperimentare direttamente le risorse selezionate per la propria cura sui, la quale non si esaurisce in un ciclo di meditazioni, nel ritiro in luoghi spirituali, in corsi specialistici di storia del pensiero filosofico, giacché essa esige lo sforzo di vivere la vita quotidiana nella consapevolezza della sua sacralità e della comune appartenenza alla stessa Rete della vita ovvero alla stessa Famiglia Universale. Le risorse di cui si avvale la cura sui (culturali, affettive,etc.) non sono, dunque, fini a se stesse, ma destinate al cambiamento concreto rispetto al modo di nutrirci, di amare, di guardare, di lavorare, etc.


La cura del Sé non può, pertanto, essere ridotta a mo’ di corso universitario o di terapia medicale. Un tale approccio riduzionista è stato portato avanti da una parte del mondo culturale allorché si è chiuso alla vita vissuta e ha preferito i facili recinti dell’intellettualismo prodighi di vantaggi nel contesto sociale. La cura sui non può essere nemmeno fagocitata dai professionisti della psiche i quali talvolta hanno preferito indugiare e trattenersi eccessivamente nelle cantine dell’essere umano (16). La cura sui non può, peraltro, essere cloroformizzata da un tipo di religiosità che valorizza di fatto le debolezze umane e spegne l’aspirazione a ideali elevati, ancorché teoricamente proclamati. La cura sui esige, invece, un orizzonte elevato entro il quale collocare il perfezionamento individuale. La cura sui non può essere trasmessa da chi non cerca di vivere sul proprio organismo la sacralità e la moralità nella vita quotidiana. La cura sui ha bisogno non solo di confronti intellettuali ma di esempi di vita disinteressati. Evidentemente, queste precisazioni non vogliono sostenere pretese di perfezione o aspettative dell’altrui perfezione, ma porre in luce che sono necessari sforzi sinceri, intenzioni autentiche di cambiamento e sperimentazione, nonché l’assenza di gravi ambiguità. La cura sui come “l’educazione alla fraternità presuppone la presenza di educatori che siano o tendano ad essere fraterni, il che presuppone da parte di questi una volontà coraggiosa e perseverante per evolversi in questa direzione, nonché una lucidità sulla parte oscura, sulla parte meno civilizzata che c’è in ognuno di noi” (17). La cura sui non è, dunque, una astratta esigenza intellettuale, “è anche “lavoro”, impegno capillare e concreto che implica, oltre al coinvolgimento emotivo dei soggetti, la capacità di mettersi in gioco nella molteplicità delle situazioni in cui essi si trovano ad agire; e la volontà di ottenere effetti, di raggiungere obiettivi” (18).


Schematizzando il processo in questione ai soli fini esemplificativi, possiamo aggiungere che oltre alle fasi di apprendimento delle risorse e della successiva applicazione, la “cura sui” consta di una serie di attività che debbono essere compiute dal solo soggetto interessato su se stesso: in questo stadio, la cura sui “si caratterizza come educazione interiore autogestita (contrassegnata da pratiche vissute di cui il soggetto stesso è allievo e maestro). Siamo, così, davanti anche al modello più complesso, ma il più alto poiché viene a gestire proprio l’interiorità dell’io” (19).
Evidentemente, questa ultima affermazione non implica l’irrilevanza della formazione, trasmissione, apprendimento e tirocinio della cura sui. Cioè la cura sui non comporta la necessità di essere “autodidatti”, ma esige che il nucleo del lavoro interiore su stesso debba essere svolto dal soggetto direttamente interessato.
Il cooperatore sa che tramite la cura del Sé può dare agli altri una “moneta buona” cioè sostegno, affetto, disinteresse, pari dignità. Questa moneta non si acquisisce a caso o per inerzia, ma per scelta di vita, mediante, giustappunto, la cura del Sé. Il cooperatore entra in contatto con la sua, simbolicamente parlando, banca interiore dalla quale attinge energie benefiche, la consapevolezza di se stesso e dell’unità della Vita, nonché la percezione degli altri come una parte di Sé.
La cura sui parte da se stessi, ma diventa naturalmente cura estesa a tutta la comunità della vita, come auspicato dalla Carta della terra la quale annovera tra i suoi principi quello di “prendersi cura della comunità vivente con comprensione, compassione e amore” (20). L’attitudine a percepire la comune appartenenza alla Rete della Vita appare, dunque, a molti ineludibile. Anche la riflessione di Rifkin valorizza la consapevolezza del fatto che “la terra funziona come un organismo unitario e inscindibile, dalla cui salute dipendiamo e di cui siamo tutti responsabili. Solo se saremo disposti a diventare realmente solidali con il pianeta, ridefinendo i nostri stili di vita e il corso dell'economia a favore di una vera sostenibilità ambientale, avremo la possibilità di superare la crisi a favore di una salvifica rinascita” (21).


Ci ricordano Boff-Hathaway che “per secoli abbiamo riflettuto sulla Terra. Noi eravamo i soggetti del pensiero e la Terra era l’oggetto. Ora una volta presa coscienza del fatto che la terra e l’umanità formano un’unica realtà è importante [comprendere che] non siamo semplicemente sulla Terra. Noi siamo anche la Terra […] la parola uomo deriva da humus, terra fertile, analogamente in ebraico il termine adam, uomo, deriva da adamah, suolo, terra fertile” (22).


Da questa attitudine occorre trarre sia l’esigenza di essere fraterni con la vita che è in noi, con il nostro organismo, con tutte le nostre cellule viventi che permettono a noi di vivere sulla terra, sia la necessità di ridimensionare i nostri bisogni materiali e il consumo delle risorse, giacché queste ultime sono limitate e destinate anche ad altri. Afferma il famoso scienziato Maturana: "voglio un mondo nel quale si rispetti la natura che ci alimenta, un mondo nel quale si restituisca quello che la natura ci presta per vivere. In quanto esseri viventi siamo esseri autonomi, ma nel vivere non lo siamo” (23).

 

Occorre, allora, un sapere sistemico coerente con l’unità della Rete della vita. È meglio una testa ben fatta che una testa ben piena, scrive Morin. Questa metafora di successo, presa a prestito da Montaigne, vuole significare che non è importante accumulare sapere (“testa ben piena”), ma maturare un’attitudine generale idonea a cogliere i legami tra i saperi e i vari settori di manifestazioni della vita (24). Occorre superare la frammentazione delle conoscenze per cogliere l’Unità della Vita e le interconnessioni. L'identità umana, afferma Morin, così come i suoi saperi, “è frammentata e dispersa fra le diverse scienze e discipline. Ogni scienza si limita a studiare un pezzettino dell'identità umana, scollegandolo da tutti gli altri […] ad accecarci non è solo la nostra ignoranza, è anche la nostra conoscenza. Il nostro modo di conoscenza parcellizzato produce ignoranze globali” (25).
Evidentemente, la massa notevole di informazioni oggi acquisibili non può compensare la necessità di un pensiero sistemico: “uno degli inconvenienti provocati oggi dai media è il fatto che l'uomo moderno crede di avere accesso al significato degli eventi semplicemente perché è informato […] l'informazione giunge sempre a una soglia in cui non è in grado di rendere conto del senso dell'evento” (26).
Occorre sviluppare una capacità di pensare che ponga in luce le connessioni, la complessità, tenendo presente che il tutto è qualcosa di più della mera somma delle singole parti (27). Per comprendere in termini concreti il significato dell’approccio sistemico, occorre considerare che “un sistema vivente, sia un organismo, un sistema sociale o un ecosistema, è un insieme integrato che non può essere capito riducendo le proprietà alle proprietà delle parti più piccole. Le proprietà dette sistemiche sono proprietà dell’intero che nessuna delle parti possiede. Il pensiero sistemico, quindi, coinvolge un cambiamento di prospettiva dalle parti all’intero”. Ad esempio, è sempre più evidente che i problemi collettivi correlati alla energia, all’ambiente, al cambiamento climatico, alla povertà, “non possono essere compresi separatamente, sono problemi sistemici, interconnessi e interdipendenti” (28). Ciò vuole dire che le soluzioni ai problemi per essere efficaci devono essere anche esse sistemiche, altrimenti sono illusorie.
Un’altra conseguenza discendente dall’appartenenza alla Rete della Vita è il lavorare per il tutto e non per una parte: ”bisogna essere capaci di allargare ogni giorno il cerchio delle proprie occupazioni e delle proprie attività: ecco cosa significa evolvere. Cosa si vede, invece? Degli esseri umani occupati soprattutto dei loro interessi personali, e un po' di quelli della loro famiglia e del loro paese, e questo porta con sé parecchi malintesi. Molti diranno che non c'è ideale più grande che lavorare per il proprio paese, ma non è così, perché esso non rappresenta la totalità. Se ciascuno si mette a lavorare unicamente per il proprio paese, questo non può che portare a conflitti con gli altri paesi. Quando ci si concentra esclusivamente su una parte del tutto, si entra necessariamente in conflitto con le altre parti di quel "tutto". La pace nel mondo esige che si considerino le cose dal punto di vista più vasto, più universale. Per evolvere, bisogna introdurre nella mente un punto di vista sempre più ampio, bisogna aprire il proprio cuore a un numero sempre maggiore di creature, e mettere tutta la propria volontà nella realizzazione di una famiglia universale" (29).
Nella stessa direzione, Naess “sostiene che il processo di maturazione psicologica implica lo sviluppo dell’identificazione con gli altri, che consente al sé di abbracciare cerchi dell’essere sempre più ampi fino ad includere la grande comunità della Terra” (30).

 


In termini sintetici, la consapevolezza di essere oggettivamente parte della Rete della Vita produce l’esigenza di:
1) avere cura del proprio Sé cooperatore;
2) avere cura della Terra e della comunità della Vita;
3) sviluppare un modo di pensare e di sapere sistemici;
4) progettare soluzioni sistemiche per i problemi collettivi;
5) lavorare non per gli interessi esclusivi di una parte, ma per quelli della collettività;
6) percepire concretamente nella conduzione delle proprie attività quotidiane il legame interiore con la collettività;
7) avere un’attitudine cooperativa e non predatoria verso tutte le risorse materiali e immateriali offerti dalla Rete della Vita.

 

 

 

 

1. A.M. Baggio, Dibattito intorno all’idea di fraternità cit.
2. E. Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Cortina, 2001, p. 38.
3. S. Manghi, Complessità, conoscenza, fraternità. Per un pensiero metadisciplinare. Riflessioni Sistemiche n. 3/2010, www.aiems.eu.
4. La parola attitudine rispecchia in questo caso la parola latina “actitudine”.
5. G. Gasperini, La spiritualità del quotidiano, Editore Studium, 2010, p. 27.
6. F. Capra - P. L. Luisi, op.cit., pp. 368-369.
7. Dostoevskij fa pronunciare al monaco Zosima queste parole bellissime e profonde sull’amore per gli animali: “Amate gli animali: Iddio ha dato loro un principio di pensiero e una gioia piena di pace. Non tormentateli, non maltrattateli, non togliete loro quella gioia, non andate contro l’intento di Dio. Uomo, non ti esaltare al di sopra degli animali: essi sono senza peccato mentre tu, con tutta la tua grandezza, insozzi la terra con la tua presenza e lasci dietro di te le tracce della tua sozzura: il che - ahimé - accade quasi a ognuno di noi [...] Il mio giovane fratello domandava perdono agli uccelli: parrebbe un’assurdità, invece è una cosa giusta perché tutto, come l’oceano, scorre e comunica; tu tocchi in un punto, e il suo tocco si ripercuote sino all’altra estremità del mondo. Sarà forse una follia chiedere perdono agli uccelli, però è certo che i bambini, gli uccelli e tutti gli animali attorno a te si sentirebbero più felici se tu fossi, anche solo un pochino, migliore di quello che sei" F.M. Dostoevskij, I fratelli Karamazov cit.,pp. 402-405.
8. L. Boff - M. Hathaway, op.cit., p.135.
9. F. Capra, La scienza della vita cit.
10. O.M. Aïvanhov, Pensieri Quotidiani, 6 Aprile 2014, Prosveta. Cfr. Idem, La legge degli scambi in La Bilancia cosmica, Prosveta.
11. J. Godbout, Lo spirito del dono, Bollati Boringhieri, 1993, p. 215.
12. F. Capra, La scienza della vita cit.: “La caratteristica principale della famiglia terrestre è la sua capacità intrinseca di sostenere la vita... noi tutti dovremmo cercare di mantenere e alimentare questa capacità... In una comunità sostenibile, ciò che viene promosso e sponsorizzato non è tanto la crescita o lo sviluppo illimitato, bensì l’intera rete della vita dalla quale dipende la nostra sopravvivenza a lungo termine. Una comunità sostenibile viene progettata e gestita in modo che i suoi stili di vita, la sua organizzazione economica e la sua tecnologia non compromettano la capacità della natura di sostenere durevolmente la vita...sia negli ecosistemi sia nella società umana, la sostenibilità scaturisce da un’intera rete di relazioni e non da un solo individuo” ibidem.
13. Cfr. L. Boff, Francesco di Assisi e Francesco di Roma cit.
14. M. Foucault, L’ermeneutica del soggetto cit., p. 23.
15. Ivi, p.13. Ricorda Hadot, in riferimento alla filosofia greco-romana, che ogni scuola di filosofia rappresentava una forma di vita collegata a un ideale di saggezza: “a ogni scuola corrisponderà così un atteggiamento interiore fondamentale [...]. Ma, soprattutto, in tutte le scuole saranno praticati esercizi destinati ad assicurare il progresso spirituale verso lo stato ideale della saggezza, esercizi della ragione che saranno per l'anima, analoghi all'allenamento dell'atleta o alle cure di una terapia medica. In termini generali, consistono soprattutto nel controllo di sé e nella meditazione. Il controllo di sé è fondamentalmente attenzione a se stessi: vigilanza tesa nello stoicismo, rinuncia ai desideri superflui nell'epicureismo”, op.cit., p. 15. Osserva, inoltre, questo autore, che “l'esercizio della ragione è «meditazione»: d'altronde etimologicamente i due termini sono sinonimi. Diversamente dalle meditazioni di tipo buddistico dell'Estremo oriente, la meditazione filosofica greco romana non è legata a un atteggiamento corporeo, ma è un esercizio puramente razionale o immaginativo o intuitivo. Le sue forme sono estremamente varie” ibidem.
16. Boff e Hathaway sono molto critici sulla psichiatria e la psicoterapia di matrice occidentale e condividono il pensiero di T. Roszak secondo il quale “é la psichiatria della moderna società occidentale ad aver separato la vita interiore dal mondo esterno, come se quello che è dentro di noi non fosse anche all’interno dell’Universo: qualcosa di reale, consequenziale e di inseparabile dallo studio del mondo naturale” (The voice of the Earth, Simon and Schuster, New York, 1992). Secondo questi autori, “quasi tutte le correnti psicologiche occidentali sono inadatte ad analizzare e comprendere la psicosi collettiva che ci disconnette e ci isola dalla grande comunità degli esseri viventi” L. Boff - M. Hathaway, op.cit., p. 200.
17. B. Mattei, Solidarité ou Fraternité cit.
18. E. Pulcini, Cura di sé, cura dell’altro, in Thaumazein 1/2013, p. 96.
19. F. Cambi, La cura in Pedagogia cit.
20. L. Boff - M. Hathaway, op.cit., p. 518. La cura della comunità della vita “ha una lunga tradizione in Occidente, come è evidente dalla celebre favola-mito sulla cura raccontata dal famoso schiavo di Cesare Augusto, Gaio Giulio Igino (64 a.C.-17 d.C.). Questo mito è stato oggetto di un commento molto approfondito del filosofo Martin Heidegger in Essere e Tempo (§§39-44). Da tale mito deriva l'idea che la cura sia l'essenza concreta dell'essere umano” Ibidem. "La 'Cura', mentre stava attraversando un fiume, scorse del fango cretoso; pensierosa ne raccolse un po’ e cominciò a dargli forma. Mentre è intenta a stabilire che cosa abbia fatto, interviene Giove. La 'Cura' lo prega di infondere spirito a ciò che essa aveva fatto. Giove acconsente volentieri. Ma quando la 'cura' pretese di imporre il suo nome a ciò che aveva fatto, Giove glielo impedì e volle che fosse imposto il proprio. Mentre Giove e la 'Cura' disputavano sul nome, intervenne anche la Terra, reclamando che a ciò che era stato fatto fosse imposto il proprio nome, perché aveva dato ad esso una parte del proprio corpo... I disputanti elessero Saturno a giudice. Il quale comunicò ai contendenti la seguente giusta decisione: “Tu, Giove, che hai dato lo spirito, al momento della morte riceverai lo spirito; tu, Terra, che hai dato il corpo, al momento della morte riceverai il corpo. Ma poiché fu la Cura che per prima diede forma a questo essere, fin che esso viva lo possieda la Cura. Per quanto concerne la controversia sul nome, si chiami homo poiché è fatto di humus (Terra)” M. Heidegger, 1976, Essere e Tempo, trad. it. Longanesi, Torino, p. 247
21. J. Rifkin, op.cit., p. 77.
22. Idem, op.cit., p. 562.
23. H. Maturana - X. Dàvila, Emozioni e linguaggio cit., p. 39.
24. E. Morin, È meglio una testa ben fatta che una testa ben piena, Corriere della Sera, 19 maggio 2000. Cfr. O.M. Aïvanhov, La Vision du Tout, 25 dicembre 1961, Prosveta.
25. Intervento di E. Morin, Meet the Media Guru, Milano 11 novembre 2009.
26. P. Breton, L’utopia della comunicazione, Utet, 1995, p. 128.
27. F. Capra, Rete della vita cit., pp. 40-41.
28. F. Capra - P.L. Luisi, op.cit., p. 461.
29. O.M. Aïvanhov, Pensieri Quotidiani, 11 Ottobre 2008, Prosveta.
30. L. Boff - M. Hathaway, op.cit., p. 207.

 

“C’è una rete della vita che unisce la vita interiore, la vita biologica, la vita sociale, la vita culturale…Questa trama invisibile va studiata, compresa e amata”

“Se l’ideale è come una mappa… l’ideale del perfezionamento individuale nella prospettiva della fraternità universale esprime la mappa più estesa, più ricca di percorsi cioè di potenzialità cognitive ed emotive”

“Il dipanarsi della vita è oggettivamente condizionato dalle intenzioni, cioè dalle finalità che ciascuno si autoprefigge in quanto queste ultime dànno senso alla nostra interpretazione del mondo, al nostro ruolo nel mondo”

Gli esseri umani sono predisposti a essere empatici, a identificare quello che provano gli altri, a condividere i loro sentimenti con un’emozione corrispondente, ad accogliere le loro gioie e i loro dolori

Se non ci disperdiamo in attività che ci indeboliscono, scopriamo che è proprio nelle azioni più semplici e più quotidiane che la vita ha nascosto i suoi veri tesori. Respirare, nutrirsi, camminare, aprire gli occhi sulla natura, amare, pensare... Ecco i veri doni della vita”

"L’organismo fisico che vive bene, in armonia… favorisce i processi cognitivi e agevola la generazione in noi di immagini mentali altamente benefiche le quali agiscono a loro volta favorevolmente sui nostri comportamenti”

“Ogni vita richiede una scienza: la vita della pianta che vuoi coltivare... la tua stessa vita che devi sviluppare. Per vivere, bisogna saper vivere”

“Una comunità che non sa esprimere e valorizzare le attitudini cooperative è più povera di capitale sociale e civile e avrà maggiori difficoltà ad attivare circoli virtuosi di sviluppo”

“Il lavoro dovrebbe essere una grande gioia ed è ancora per molti tormento, tormento di non averlo, tormento di fare un lavoro che non serva e non giovi a un nobile scopo”

“Non si tratta soltanto di adottare stili di vita improntati alla sobrietà ma di aprire la nostra coscienza, nel quotidiano, agli interessi sensibili della Rete della Vita… dalla crescita quantitativa dobbiamo arrivare alla crescita qualitativa”

“Non possiamo essere affidabili verso la collettività se siamo schiavi di debolezze a causa delle quali l’interesse collettivo è potenzialmente subordinato a quello personale”

 


“Non dobbiamo essere come una voragine che prende senza restituire, ma dobbiamo restituire ciò che ci è stato dato"

“Dobbiamo proteggere le risorse naturali, la sacralità della Natura, ma occorre proteggere anche la sacralità della vita interiore. In entrambi i casi, abbiamo risorse da rispettare”

“Quanto più espandiamo il senso della nostra appartenenza, tanto più aumentiamo la mappatura del mondo su di noi, e quindi le nostre capacità intellettive ed emotive”

 

PRIMA PARTE

Riflessioni storiche sul nostro travaglio collettivo e individuale

Modulo 1. Premessa storica. Riflessioni sull'evoluzione nella società delle idee laiche di solidarietà e fraternità.

SECONDA PARTE

Ricognizione del pensiero recente, maturato in tema di cooperazione e fraternità in prospettiva laica e sociale

Modulo 3. L’appello della cultura, nell’era della globalizzazione e delle interdipendenze, al valore di cooperazione, indispensabile quanto la libertà e l'uguglianza.

TERZA PARTE

La società e la Rete della vita. Riflessioni a supporto delle nostre scelte e di un possibile percorso di cambiamento verso una coscienza aperta agli interessi della collettività.

QUARTA PARTE

Ripensare le basi concettuali dell’educazione alla cittadinanza. Alle radici della questione morale...

Modulo 11 bis Il processo di adeguamento interiore alle prescrizioni civiche

QUINTA PARTE

Linee di sviluppo di nuove attitudini concrete, espressive dei valori di cooperazione, empatia...

Modulo 12. Mappa delle attitudini significative in coerenza con la visione sistemica della Vita

Attitudine a percepire la comune appartenenza alla Rete della Vita. La cura di se stessi
Attitudine alla scelta degli Ideali, pensieri e sentimenti per manifestare comportamenti civici
Attitudine alla scelta delle intenzioni
Attitudine alle relazioni empatiche. La rilevanza civica della empatia
Attitudine alla rivalutazione e alla sacralizzazione della vita quotidiana
Attitudine alla rivalutazione del corpo fisico e del suo apporto cognitivo
Attitudine a sperimentare il gusto e la pienezza della vita: la “scienza della Vita”
Attitudine a valorizzare il bene relazionale e i beni comuni
Attitudine alla rivalutazione del lavoro
Attitudine al dimensionamento dei bisogni individuali
Attitudine all'assunzione delle cariche pubbliche. L’esempio
Attitudine a relazioni improntate ai valori di giustizia
Attitudine al rispetto dell’ambiente interiore ed esteriore
Attitudine a vivere come cittadino dell’Universo