Modulo 7. La nostra scelta avanti al bivio: dobbiamo decidere la natura che noi vogliamo esprimere: il nostro sé profittatore o il Sé cooperatore ed empatico...

 

 

 

1. Le relazioni tra vita individuale e società. Perché stiamo insieme in società? Quale acqua ciascuno di noi versa nell’oceano della vita sociale?
2. Dobbiamo compiere la nostra scelta: profittatori o cooperatori?
3. Forse non riusciamo nell’intento di realizzare una società cooperativa e fraterna in quanto non sappiamo come fare

 

1. Le relazioni tra la nostra vita individuale e la società. Perché stiamo insieme in società? Quale acqua ciascuno di noi versa nell’oceano della vita sociale?

Da tempo gli studiosi si chiedono se la società determini l’individuo, oppure, se sia l’individuo a modellare la società (1). Scrive Morin: “la società è il prodotto di interazioni tra individui umani, ma la società si costituisce con le sue emergenze, con la sua cultura, con il suo linguaggio, che retroagisce sugli individui e così li produce come individui umani fornendo loro il linguaggio e la cultura. Noi siamo prodotti e produttori” (2). Ma al di là di quale possa essere la soluzione ritenuta più soddisfacente, appare incontrovertibile, a nostro avviso, che la società rifletta, in qualche modo e in qualche misura, il mondo interiore e, in particolare, le rappresentazioni interiori dei singoli individui circa lo stare insieme. Se la società in cui viviamo non è fraterna ed empatica ciò non è dovuto alla carenza di riforme giuridiche, all’assenza di istituzioni sovranazionali o di un diritto cosmopolita, ma al fatto che in essa non prevale un stato di coscienza fraterno. Cambiare la società in direzione cooperativa implica necessariamente e logicamente il cambiamento individuale verso la fraternità.

La vera trasformazione sociale, si è detto, richiede un cambiamento della mentalità cioè che “si modifichino le nostre categorie di pensiero fondamentali, che si cambi la struttura intellettuale con la quale formuliamo la nostra esperienza e le nostre percezioni” (3). Quanto più cambiano le persone, tanto più aumentano le possibilità di cambiare la società. Il monito gandhiano “Sii tu il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo” reca, implicitamente, anche questa prospettiva concettuale. Ricorda Aïvanhov: “Sapete tutti come si calcola, in fisica, la risultante di due forze; ebbene, questa legge non è valida soltanto sul piano fisico, ma anche sul piano psichico. Se migliaia di persone lavorano veramente per il bene dell'umanità, mentre miliardi di altre si preoccupano solo dei propri interessi mostrandosi egoiste, gelose e vendicative, come volete che il bene e la pace trionfino? Anche in questo caso gli avvenimenti saranno la risultante delle forze esistenti. Direte: "Ma sono diverse migliaia le persone che desiderano il trionfo del bene! È vero, ma in modo talmente vago e così poco concreto! Ciò che in realtà vorrebbero, è di svegliarsi un bel giorno, trovandosi già in uno stato di pace, di abbondanza e di felicità, senza aver fatto nulla affinché la pace, l'abbondanza e la felicità trionfino” (4).

 

Se ci interroghiamo sui fattori che generano i comportamenti sociali, scopriamo che sono state fornite, a questo proposito, molteplici risposte, oltre a quella di Morin, prima evidenziata.
La società è stata concepita, ad esempio, come un centro “des energies des pensées et des sentiments” nel quale l’individuo si alimenta e dal quale è in qualche modo condizionato (5), oppure, come “pensiero comunicato e attuato” (6). Alcuni eminenti studiosi hanno pure posto in luce come le “intenzioni condivise” siano alla base della nostra socialità, della nostra cultura e delle nostre istituzioni sociali (7). Secondo la recente prospettiva concettuale della “rete sociale”, nella comunità umana si riscontrano “reti di comunicazioni” dove ogni comunicazione produce pensieri e significati, poi “man mano che le comunicazioni si sviluppano… formano cicli di feedback che finiscono per produrre un sistema di credenze, spiegazioni, e valori comuni, un comune orizzonte di significati noto come cultura, continuamente alimentato da ulteriori comunicazioni. Attraverso l’appartenenza a questa cultura i singoli individui acquistano la propria identità di membri della rete sociale e in questo modo la rete genera i propri confini” (8). I sistemi sociali umani non vivono dunque soltanto nel dominio fisico, biologico, ma vivono anche “in quello sociale-simbolico, formato dal "mondo interiore" dei concetti, delle idee e dei simboli che sorgono con il pensiero umano, la coscienza e il linguaggio” (9).
Alcuni studiosi hanno fatto riferimento, ad esempio, al concetto di “coscienza sociale” la quale si formerebbe tramite l’interazione tra le varie rappresentazioni dei componenti del gruppo relativamente alla ragione d’essere della loro vita associativa; questa ragione d’essere diventa il centro attorno al quale si forma la vita collettiva 10. La società nella quale viviamo sarebbe dunque il risultato della coscienza dei fini che poniamo alla base della nostra vita associativa: “de l’applications des representations individuelles à la consideration du but de la vie comune se dégage un état de coscience qui détermine la formation de la societè” (11).
Recentemente, si è posto in evidenza che “le rappresentazioni collettive sono un elemento fondamentale della vita sociale in quanto attraverso esse transitano diverse forme e molti contenuti che sono alla base degli atteggiamenti, cioè delle propensioni, e dei comportamenti, cioè delle azioni degli individui nelle società. C’è dunque uno stretto legame fra le rappresentazioni cui il soggetto fa riferimento ed il suo agire sociale. L’espressione “rappresentazioni collettive” è di origine durkheimiana e deriva in particolare dal suo concetto di “coscienza collettiva” […] oggi però si preferisce parlare di “rappresentazioni sociali”, dizione più diffusa e largamente accolta dalla letteratura sociologica contemporanea” (12).
Possiamo in sintesi affermare che, quale che sia la nostra visione circa la genesi dei fenomeni sociali, non possiamo non confermare il ruolo fondamentale della nostra vita interiore (rappresentazioni, intenzioni, pensieri, credenze, etc.). I nostri stati di coscienza individuali, le nostre rappresentazioni interiori influenzano la vita sociale la quale a sua volta agisce naturalmente anche su di noi.
Dovremmo dunque chiederci tutti, con sincerità, quali sono le nostre intenzioni e quale pensiero comunichiamo nella società attuale. Dovremmo chiederci quali sono “les energies des pensées et des sentiments” che ci animano, dovremmo interrogarci sui pensieri e sentimenti che circolano nella società, sulle rappresentazioni interiori che coltiviamo dentro di noi rispetto ai fini del nostro stare insieme. Dovremmo analizzarci per verificare se abbiamo realmente una coscienza fraterna nella vita quotidiana. Ma il raggio di azione della nostra riflessione non può concernere la sola sfera intellettuale ma tutto il nostro modo di essere e di vivere; ma forse, è proprio questo che spesso non vogliamo fare poiché dovremmo fare i conti con le nostre ambizioni personali e le nostre abitudini di vita talvolta egocentriche. È arrivato, forse, il momento di portare alla luce dei nostri occhi, il nostro mondo interiore le cui influenze sui fenomeni sociali sono incontrovertibili.
La risposta di Fromm agli interrogativi circa la qualità delle energie dei pensieri e sentimenti che immettiamo nella nostra società, la conosciamo ed è molto chiara: “la nostra civiltà molto raramente cerca d’imparare l’arte di amare e, nonostante la disperata ricerca di amore, tutto il resto è considerato più importante: successo, prestigio, denaro, potere. Quasi ogni energia è usata per raggiungere questi scopi e quasi nessuna per conoscere l’arte di amare” (13).
In effetti, frequentemente, tutte le nostre energie appaiono essere impiegate nella nostra società per finalità egocentriche. Sembrano prevalere non tanto “energie cooperative” ma piuttosto energie antagoniste e, talora, predatorie. Ma “l’avidità ha fatto il suo tempo. Ora è il momento dell’empatia” (14) : questo è almeno l’auspicio, al quale ci associamo, dell’etologo De Waal.
Se vogliamo, allora, migliorare il “pensiero comunicato e attuato nella società” ed elevare la “coscienza sociale” è ineludibile agire sul proprio versante interiore, cioè proprio in quell’ambito nel quale agiscono le energie dei nostri pensieri e dei sentimenti che influenzano la società. Dobbiamo, simbolicamente parlando, iniziare a versare noi per primi acqua pulita nel mare della società. Ma l’acqua pulita la possiamo riversare se, innanzitutto, la possediamo in noi stessi. Di qui la necessità di compiere le nostre scelte, come si suol dire, “a monte”, cioè già nei momenti sorgivi della nostra esistenza, della nostra vita quotidiana, in tutti quei momenti con i quali costruiamo la nostra identità (cfr. modulo 9; modulo 12/5).

2. Dobbiamo compiere la nostra scelta: profittatori o cooperatori?

 

 

Occorre avere la consapevolezza, ricorda Morin, che la barbarie del mondo è collegata anche alla nostra (15). Come ammoniva Buber, “l’uomo deve, innanzi tutto, al di là della farragine di cose senza valore che ingombra la sua vita, raggiungere il suo sé, deve trovare se stesso, non l’io ovvio dell’individuo egocentrico, ma il sé profondo della persona che vive con il mondo. E anche qui tutte le nostre abitudini ci sono d’ostacolo. Bisogna che l’uomo si renda conto che le situazioni conflittuali che l’oppongono agli altri sono solo conseguenze di situazioni conflittuali presenti nella sua anima, e che quindi deve sforzarsi di superare il proprio conflitto interiore per potersi così rivolgere ai suoi simili da uomo trasformato, pacificato, e allacciare con loro relazioni nuove, trasformate” (16).
Per Boff, “esistono in noi istinti di violenza, volontà di dominio, archetipi ombrosi che ci allontanano dalla benevolenza in relazione alla vita e alla natura. Dentro la mente umana hanno origine i meccanismi che ci conducono alla guerra contro la Terra e si esprimono attraverso una categoria: l’antropocentrismo. L’antropocentrismo considera l’essere umano come re dell’universo e gli altri esseri hanno senso solo in sua funzione; stanno lì per il suo godimento. Questa interpretazione rompe con la legge più universale: la solidarietà cosmica dove tutti gli esseri sono interdipendenti e vivono dentro una intricatissima rete di relazioni in cui tutti sono importanti […]. La moderna cosmologia ci insegna che tutto ha a che fare con tutto, in tutti i momenti e in tutte le circostanze. L’essere umano dimentica questa intricata legge di relazioni, si aliena da essa e si situa sopra le cose, invece che sentirsene accanto in una immensa comunità planetaria e cosmica” (17).


Capra e Luisi evidenziano che le minacce alla sostenibilità possono “avere radici in alcuni tratti genetici fondamentali dell'umanità, e in particolare del genere maschile, quali l'aggressività e il desiderio di potere, che sono ben evidenti nell'attuale capitalismo rapace. Tuttavia, abbiamo visto che gli uomini hanno anche delle caratteristiche positive, che contrastano questi tratti e che possiamo generalmente associare alla spiritualità. Fra queste vi è la tendenza a diventare uomini migliori che comprende anche il senso di elevazione interiore verso l'arcano e i misteri del cosmo, così come verso l'amore e il rispetto dei nostri simili” (18).


Nel campo interiore ci sono, quindi, le radici della barbarie, cioè della natura egocentrica o sé inferiore, ma ci sono anche le radici della nostra natura fraterna o Sé superiore (cfr. modulo 5) (19). La parte egocentrica vorrebbe vivere come una sorta di predatore di risorse di qualsivoglia natura, la parte altruistica vorrebbe vivere come cooperatore. Molti di noi hanno conosciuto persone che in talune circostanze hanno assunto condotte ascrivibili nettamente a una delle due nature evidenziate. Molti di noi hanno verificato il fatto di aver assunto in prima persona nelle diverse circostanze della vita, talvolta, queste antitetiche condotte. Pico della Mirandola, lo abbiamo già segnalato, ci ricordava che l’uomo ha la libertà di fare di sé ciò che vuole fino a diventare come un'animale o come Dio, usando liberamente a questo scopo tutto il creato" (20). Ma, osserva Viola, nell’epoca contemporanea “l'oscillazione dell'esistenza umana tra i due poli della bestialità e dell'angelicità si è accelerata. L'Olocausto, gli armamenti nucleari, le guerre, il dominio incontrollato della tecnologia sulla vita umana, l'aumento della povertà e della fame nel mondo, l'inquinamento ambientale spingono verso livelli inaccettabili di mancanza di rispetto per la dignità umana” (21).
Dobbiamo ricordarci che la fraternità nella società non è una condizione di partenza, ma un risultato da raggiungere interiormente ed esteriormente. Il mito di Caino e Abele e i miti analoghi certificano non l’irriducibile contrasto tra gli uomini, ma il fatto che la fraternità è un seme da coltivare e far crescere tramite la nostra maturità interiore. La nostra storia passata, lungi dal riflettere una condanna preventiva senza via di uscite, dà atto di un lungo percorso avviatosi da una situazione di partenza caratterizzata dalla coesistenza, dentro e fuori di noi, dell’antagonismo e della cooperazione. La situazione attuale che tutti stiamo vivendo ci obbliga però a compiere, senza indugi, la nostra scelta tra queste due possibilità espressive. La situazione attuale ci costringe a uscire allo scoperto, quale che siano le nostre occupazioni lavorative, i nostri status socio-culturali e i nostri convincimenti in materia spirituale. Certamente il cambiamento non è facile. Dobbiamo riconoscere, osserva Ricard, che “nei confronti del cambiamento abbiamo una resistenza molto forte. Non mi riferisco ai superficiali voltafaccia delle mode che caratterizzano la nostra società, ma alla profonda inerzia rispetto a qualsiasi autentica trasformazione del nostro modo d’essere. Nella maggior parte dei casi non vogliamo neppure sentir parlare della possibilità di cambiare, e deridiamo chi cerca una soluzione alternativa. Certo, nessuno desidera essere in collera, geloso o orgoglioso, ma ogni volta che ci capita abbiamo il pretesto che in fondo sia normale, che faccia parte dell’esistenza. Perché dunque cercare di cambiare qualcosa? Cerchiamo piuttosto d’essere noi stessi! E questo equivale a distrarci, a cambiare aria, auto o partner, a consumare il più possibile, a ubriacarci di cose superflue, e soprattutto a evitare di confrontarci con l’essenziale, perché ci costerebbe fatica” (22).
Una parte dell’opinione pubblica che oggi esprime indignazione per talune problematiche sociali dovrebbe essere consapevole del fatto che, forse, nel passato ha contribuito a banalizzare e desacralizzare la vita interiore in quanto ha ritenuto, impropriamente, che questa “materia” fosse un veicolo del potere religioso e della cultura dogmatica delle gerarchie religiose, ovvero, un attentato alla libertà individuale. Ma, per fortuna, a partire dagli ultimi decenni, sono comparsi i segnali di una intensa aspirazione spirituale, laica e civica, grazie alla quale stiamo assistendo a un recupero dei valori interiori (cfr. modulo 2 ).

3. Forse non riusciamo nell’intento di realizzare una società fraterna in quanto non sappiamo come fare.

 

Malgrado la nostra ambivalenza, malgrado l’intreccio tra le due nostre nature, possiamo, comunque, avviarci verso una nuova società, manifestando prevalentemente la natura superiore cooperativa? Molti desiderano arrivare a stati interiori più evoluti. Ma come arrivarci? Si può costruire gradualmente uno stato di coscienza fraterno?

Dostoevskij osservava: “L’uomo occidentale discorre di questa fratellanza come d’una grande forza motrice dell’umanità, e non s’accorge che la fratellanza non la si potrà trovare da nessuna parte, fino a che essa non esisterà nella realtà. Che fare dunque? Bisogna realizzare la fratellanza a qualsiasi costo” (23).
Occorre in effetti una nuova cultura che focalizzi l’attenzione sul come conquistare e realizzare la coscienza cooperativa e fraterna in quanto essa non matura per inerzia o mediante attività puramente teoriche, ma è frutto di conquista sul campo della vita interiore ed esteriore.
Questo ci appare un punto fondamentale: poiché a parer nostro, forse (e diciamo forse) non riusciamo nell’intento di realizzare una società fraterna in quanto non sappiamo come fare. L’umanità non sa come realizzare la fraternità e per questo non l’ha mai costruita. Noi sappiamo, soprattutto, costruire oggetti materiali, elaborare norme giuridiche, costituire istituzioni, elaborare teorie, provare certe emozioni, avere slanci altruistici contingenti, etc. Ma non sappiamo costruire una coscienza fraterna, in quanto, peraltro, questa è più complessa rispetto alla ricerca di una singola qualità. La cultura ufficiale non ci insegna a guardare con coraggio, intelligenza, disinteresse il nostro mondo interiore. Talora abbiamo camuffato la nostra paura e la nostra schiavitù rispetto alle nostre passioni e ambizioni smisurate, sotto l’etichetta della “libertà individuale”; oppure abbiamo assunto come pretesto, al fine di non guardare dentro di noi, gli errori compiuti dalle autorità religiose, come se queste fossero in possesso del monopolio espressivo della spiritualità; altre volte per neutralizzare il bisogno crescente di spiritualità che gradualmente prendeva corpo nella società, abbiamo usato comode etichette riduttive al fine di non essere disturbati nelle nostre zone di comfort. Ma così facendo, il territorio interiore di buona parte della collettività è stato rimesso al “mercato” dove pochi organizzano a piacimento le pulsioni altrui per finalità mortificanti. Eppure, il mondo interiore non dovrebbe essere ceduto, delegato a soggetti terzi, ma dovrebbe essere conquistato dal singolo come bagaglio normale della propria cultura, anche avvalendosi dell’immenso patrimonio di pensiero e di esempi elevati formatisi nel corso della storia umana.


Se vogliamo entrare nella nostra stanza interiore dei bottoni, dobbiamo accettare un cambiamento di prospettiva: studiare e sperimentare una cultura che insegni a costruire non solo nel mondo esteriore ma anche in quello interiore. La cultura non può prescindere dal campo interiore giacché è questo che alimenta la visione egocentrica, separata ed antagonista, ma che nutre, nel contempo, una visione superiore, fraterna ed empatica. Noi sappiamo individuare gli oggetti fuori di noi e anche certi comportamenti esteriori, ma non riusciamo a ben individuare le nostre energie (invidia, gelosia, bramosie, etc.) e ad agire su di esse. Talora non ne abbiamo la consapevolezza perché profondamente identificati con esse, talora le individuiamo e le teniamo nascoste in quanto non le vogliamo cambiare, talaltre le vogliamo cambiare ma non riusciamo a farlo, anche perché queste energie non si orientano con l'istruzione formale, scolastica e accademica, o con un generico desiderio di cambiamento laico o religioso. Il sapere formale non è idoneo a recare questa trasformazione; infatti non c’è mai riuscito e i luoghi di questo sapere, non a caso, oggi, non sono esempio di vita illuminata e disinteressata, come è notorio a tutti.
Si può essere, infatti, secondo le convenzioni sociali un valente conferenziere, scrittore, matematico, sportivo, oppure un filosofo di fama, un politico di successo, ma si può essere, nel contempo, mediocre e avido in quanto schiavo delle proprie debolezze egocentriche, fonti dell’altrui sofferenze. È illusoria una elevazione interiore senza il coinvolgimento del proprio modo di essere nella vita di tutti i giorni. Occorre incorporare, come ricorda Morin, le nostre idee nella nostra vita: “molti umanitari e rivoluzionari nelle idee vivono in maniera egocentrica e meschina. Molti emancipatori a parole sono incapaci di lasciare un po’ di libertà a color che hanno vicino. Molti professori di filosofia dimenticano di insegnare a loro stessi un po’ di saggezza” (24).
Come è possibile, in effetti, pensare di poter affrontare la questione della nostra doppiezza comportamentale se non vogliamo prendere coscienza del nostro mondo interiore dove si annidano le cause profonde dei nostri comportamenti? Per questo, a nostro avviso, abbiamo bisogno di una cultura solida che ci orienti a conoscere il mondo interiore-esteriore, per superare la barbarie interiore, per scoprire il nostro Sé superiore e vivere la vita quotidiana con la percezione e la coscienza dell’Unità della vita.


Vi è il bisogno di una nuova cultura, una cultura della realizzazione, cioè una cultura che implichi di per sé la necessità della sua applicazione e sperimentazione e che aiuti a migliorare se stessi, a cambiare la coscienza nel vivere e nel fare le cose. Questa cultura può integrare al suo interno anche le nuove evidenze scientifiche le quali supportano questa possibilità di cambiamento. Occorre trovare, dunque, una strada formativa “ordinaria” che aiuti a compiere un percorso ragionevole di perfezionamento della coscienza e che aiuti a sperimentare sul proprio organismo il benessere cooperativo. Ma vi è una cultura che possa indicarci concretamente come percepire e vivere nuovi valori cooperativi e cogliere ciò che unisce l’interesse individuale a quello collettivo, superando contrapposizioni illusorie?

 

In altri termini, abbiamo una cultura “sperimentabile”, che non si limiti alla conoscenza intellettuale dei valori, ma che contempli la realizzazione progressiva dei valori? Abbiamo una pedagogia, una scienza di fini e di mezzi che possa supportare questo balzo in avanti della umanità, il cambiamento verso la cooperazione, la fraternità e l’empatia? Una cultura “digeribile” che i genitori possano testimoniare ai loro figli, i maestri agli alunni, gli amici agli amici, noi... a noi stessi?
In verità noi, come molti, riteniamo che sia possibile estrarre dal vasto panorama del pensiero umano già presente, una via formatrice, una via pedagogica, un percorso apprendibile che miri alla espansione della sensibilità e della coscienza quale premessa fondamentale per avere nuove attitudini civiche. A questa problematica sono dedicate le pagini che seguono.

 

 

1. Osserva Donati che ”gli individualisti ritengono che la società (e tutte le entità collettive) non abbia alcuna realtà. A loro avviso, tutte le entità sociali sono solo etichette, nomi, rappresentazioni mentali. Solo gli individui esistono. Gli olisti al contrario ritengono che esista un ordine di realtà che se non è preso in considerazione rende incomprensibile il comportamento individuale” P. Donati, Sociologia della relazione cit., p. 46 e segg. Il dibattito tra olisti e individualisti non è ancora riuscito, ad avviso di Donati, a dare una risposta esaustiva alla problematica. Secondo la sociologia relazionale proposta dal citato autore, “il sociale è qualcosa che esiste già quando gli individui nascono ed entrano in esso, ma gli individui hanno una loro autonomia nell’esplorarlo, nel farlo proprio, nello scegliere passo passo chi essere e chi diventare […] attraverso questi processi gli individui cambiano la società che essi contribuiscono a fare” ivi, p. 47. In altri termini, i fatti sociali non sono dovuti solamente a individui, oppure, solamente a entità collettive. I fatti sociali sono modi di relazionarsi fra gli individui in una realtà collettiva che presenta certi vincoli e opportunità che essi contribuiscono a modificare, ibidem.
2. E. Morin, Il Metodo 6, Cortina, 2006, p. 39.
3. Così Z. Marchall citato da L. Boff - M. Hathaway, op.cit., p. 289.
4. O.M. Aïvanhov, La Bilancia cosmica, Prosveta, 2007, pp. 168-169.
5. G. Davy in G. Dumas, Nouveau traité de psychologie, Alcan, Paris, 1939.
6. L. Sturzo, La società sua natura e leggi, Zanichelli, 1960, p. 6. Per Sturzo la società non è una entità a sé stante: ”io sostengo che la società in concreto è la coesistenza degli individui cooperanti coscientemente per un fine comune, e che né la società né le sue istituzioni o i suoi organi sono […] una realtà distinta dalla realtà degli individui associati operanti a un fine comune […]. Chi agisce e chi patisce sono gli individui associati”, ivi. Anche per Popper “parlare di società è estremamente fuorviante. Naturalmente si può usare un concetto come la società o ordine sociale; ma non dobbiamo dimenticare che si tratta solo di concetti ausiliari. Ciò che esiste veramente sono gli uomini, quelli buoni e quelli cattivi, speriamo non siano troppi, questi ultimi […] ciò che non esiste è la società. La gente crede invece alla sua esistenza e di conseguenza dà la colpa di tutto alla società o all’ordine sociale” K.R. Popper, La scienza e la storia sul filo dei ricordi, intervista di Guido Ferrari, Jaca Book, 1990, pp. 24-25. Per Weber la sociologia deve adottare metodi strettamente individualistici, deve guardare all’individuo singolo e al suo agire come al proprio ‘atomo’. Concetti come ‘stato’, ‘associazione’ vengono a designare per la sociologia, in generale, categorie di tipi determinati di agire umano in società; ed è pertanto suo compito di riportarle all’agire ‘intellegibile’ e cioè, senza eccezione, all’agire di individui partecipanti” M. Weber, Il metodo delle scienze storico-sociali, Einaudi, 1958, pp. 256-257.
7. Pensiamo al concetto di infrastruttura psicologica di intenzionalità condivisa, elaborato da M. Tomasello, Altruisti nati. Perché cooperiamo fin da piccoli, Bollati Boringhieri, 2010. L’infrastruttura psicologica di intenzionalità condivisa ”comprende nei suoi elementi fondamentali: abilità socio-cognitive per creare insieme con altri intenzioni congiunte e attenzioni congiunte; motivazioni (e addirittura regole) pro sociali volte all’aiuto e alla condivisione”, Idem, Le origini culturali della cognizione umana, Cortina, 2009, p. 23.
8. F. Capra, in Costruire sostenibilità a cura di Mitterer, Manella, ‎2013, pp. 26-27.
9. F. Capra - P.L. Luisi, op.cit., p. 389.
10. G. Burdeau, Traité de science politique, 1966, pp. 64-65.
11. Ivi, p. 85.
12. R. Cipriani, La formazione delle rappresentazioni collettive, europa.uniroma3.it.
13. E. Fromm, L’arte di amare, Il Saggiatore, 1971, p. 18.
14. F. de Waal, op. cit., p. 9.
15. E. Morin, Etica, Cortina, 2005, p. 86. Il problema etico centrale, secondo Morin, “per ciascun individuo è quello della propria barbarie interiore. È per superare queste barbarie che l’auto-etica costituisce la cultura psichica più necessaria di quella fisica”, ivi, p. 83.
16. M. Buber, Il cammino dell’uomo, Qiqajon, 1990, p. 47.
17. L. Boff, Le quattro ecologie, in La Stella del Mattino, n. 1/2005.
18. F. Capra - P.L. Luisi, op.cit., p. 350.
19. Anche la natura empatica a cui fa riferimento Rifkin intercetta la nostra natura superiore: l'empatia ci permette “di cogliere la presenza divina che si manifesta in tutte le cose. L'empatia diventa una finestra sul divino. È attraverso l'estensione empatica che trascendiamo noi stessi e ci mettiamo in connessione con il mistero dell'esistenza: quanto più profonda e universale è la nostra esperienza empatica, tanto più ci avviciniamo a sperimentare la totalità dell'essere, cioè partecipiamo al tutto, conosciamo il tutto e apparteniamo al tutto”, op. cit., p.159.
20. Pico della Mirandola, Orazione sulla dignità dell'essere umano, 1486.
21. F. Viola, I volti della dignità umana cit.
22. M. Ricard, Il gusto di essere felici cit.
23. F. M. Dostoevskij, Note invernali su impressioni estive cit., pp. 71-73.
24. E. Morin, Etica cit., p. 138.

Mappa cliccabile degli argomenti

PRIMA PARTE

Riflessioni storiche sul nostro travaglio collettivo e individuale

Modulo 1. Premessa storica. Riflessioni sull'evoluzione nella società delle idee laiche di solidarietà e fraternità.

SECONDA PARTE

Ricognizione del pensiero recente, maturato in tema di cooperazione e fraternità in prospettiva laica e sociale

Modulo 3. L’appello della cultura, nell’era della globalizzazione e delle interdipendenze, al valore di cooperazione, indispensabile quanto la libertà e l'uguglianza.

TERZA PARTE

La società e la Rete della vita. Riflessioni a supporto delle nostre scelte e di un possibile percorso di cambiamento verso una coscienza aperta agli interessi della collettività.

QUARTA PARTE

Ripensare le basi concettuali dell’educazione alla cittadinanza. Alle radici della questione morale...

Modulo 11 bis Il processo di adeguamento interiore alle prescrizioni civiche

QUINTA PARTE

Linee di sviluppo di nuove attitudini concrete, espressive dei valori di cooperazione, empatia...

Modulo 12. Mappa delle attitudini significative in coerenza con la visione sistemica della Vita

Attitudine a percepire la comune appartenenza alla Rete della Vita. La cura di se stessi
Attitudine alla scelta degli Ideali, pensieri e sentimenti per manifestare comportamenti civici
Attitudine alla scelta delle intenzioni
Attitudine alle relazioni empatiche. La rilevanza civica della empatia
Attitudine alla rivalutazione e alla sacralizzazione della vita quotidiana
Attitudine alla rivalutazione del corpo fisico e del suo apporto cognitivo
Attitudine a sperimentare il gusto e la pienezza della vita: la “scienza della Vita”
Attitudine a valorizzare il bene relazionale e i beni comuni
Attitudine alla rivalutazione del lavoro
Attitudine al dimensionamento dei bisogni individuali
Attitudine all'assunzione delle cariche pubbliche. L’esempio
Attitudine a relazioni improntate ai valori di giustizia
Attitudine al rispetto dell’ambiente interiore ed esteriore
Attitudine a vivere come cittadino dell’Universo