|  
             Modulo 6. Perché il nostro “Io” si oppone ai valori collettivi?  | 
        
![]()
1. Gli impedimenti interiori all’accettazione dei valori di fraternità.
“Le ragioni ostative all’accoglimento della fraternità sono reperibili nella carente disponibilità interiore… dovuta alla dipendenza rispetto alle debolezze personali che abbisognano per essere soddisfatte di spazi ritenuti luoghi di libertà”
 
Mentre 
        “empatia” e “cooperazione” non destano particolari problematiche pregiudiziali, 
        invece, il nome “fraternità” ha destato fin dai secoli scorsi una certa 
        prudenza e diffidenza per numerose ragioni: per le sfumature religiose 
        che questa idea ha acquisito nel corso della storia, per i suoi impieghi 
        impropri a finalità escludenti e oppositive, per la difficoltà di comprenderne 
        i contenuti concreti, per gli eccessi di sentimentalismo e gli usi demagogici 
        di taluni sostenitori, per la paura profonda di perdere le proprie acquisizioni 
        materiali, la propria identità o status in conseguenza di eventuali azioni 
        di livellamento sociale. In taluni, poi, il nome “fraternità” evoca l’idea 
        di comunità religiosa, settaria, chiusa e spenta; in altri una certa dose 
        di sospetto, come se la fraternità, per dirla con Flaubert, 
        non fosse altro che una invenzione dell'ipocrisia sociale, oppure, come 
        sostenevano alcuni politici nella seconda metà dell’Ottocento, un espediente 
        per tenere addormentate le classi sociali più disagiate. 
        La fraternità non ha avuto nel passato un grande successo nella cultura 
        laica (1) e neanche presso i politici, a differenza di quanto è accaduto 
        con i principi di libertà e di uguaglianza (2), come abbiamo già evidenziato. 
        
        Ma oggi le cose stanno cambiando a un punto tale che la fraternità per 
        molti assurge a precondizione necessaria affinché si possa attribuire 
        significato reale e non demagogico ai valori di libertà e eguaglianza 
        (cfr. modulo III). In questa ascesa, la fraternità 
        supera, ricomprendendola, la solidarietà rivelatasi, oggi, insufficiente 
        rispetto alla gravità dei problemi da affrontare. Solo la fraternità appare 
        in grado di anestetizzare la corsa al profitto, all’inquinamento fisico 
        e psichico dell’ambiente naturale e sociale.
        Ma reintrodurre la fraternità nel cuore del dibattito pubblico, come ha 
        evidenziato Baggio, 
        non è facile in quanto permangono problematiche pregiudiziali condizionanti 
        la disponibilità verso l’idea di fraternità. Ad esempio, si è osservato 
        che le radici cristiane dell’idea di fraternità sono di ostacolo a una 
        condivisione generalizzata della stessa. Ma lo stesso Baggio egregiamente 
        risponde a queste considerazioni: “ritirare fuori l’obiezione che la fraternità 
        sarebbe un concetto religioso ci farebbe dunque ritornare al dibattito, 
        ampiamente superato e risolto, dell’Ottocento. L’obiezione appare anche 
        priva di significato scientifico, mantenendone invece solo uno polemico. 
        È evidente che la fraternità è un’idea di origine religiosa; e questo 
        vale non solo per la religione cristiana, ebraica, islamica, ma anche 
        per quella degli antichi Egizi, per gli Irochesi, per i Piaroa dell’Orinoco. 
        Gli studi etnologici e di antropologia culturale ci attestano che tutte 
        le grandi idee relazionali di cui l’umanità contemporanea fa uso hanno 
        origine nelle narrazioni originarie (mitologie) di carattere religioso. 
        Dire che la fraternità ha un legame con la religione è dire un’ovvietà. 
        Ciò che ci deve interessare sono i contenuti culturali che queste idee 
        di origine religiosa hanno trasmesso alle culture viventi, contenuti che 
        si sono arricchiti e modificati nel corso delle esperienze storiche e 
        che vengono assunti e vissuti indipendentemente dalla loro origine religiosa 
        e dai sacerdoti, druidi o sciamani che ce li hanno trasmessi. Se le religioni 
        dalle quali provengono i contenuti fraterni sono ancora vive e se esse 
        continuano a nutrire la società con i loro contributi, questo costituisce 
        un arricchimento, non un problema, dato che, nello spazio pubblico, gli 
        elementi di fraternità vengono presi in considerazione per i loro aspetti 
        civili e non per le eventuali motivazioni religiose che li producono” 
        (3).
        Un’altra tradizionale obiezione concerne la difficoltà di cogliere il 
        quid comportamentale della fraternità in termini giuridici e conseguentemente 
        politici. Come già osservato, proprio la difficoltà di attribuire rilievo 
        giuridico alle obbligazioni discendenti dal principio di fraternità avrebbe 
        portato storicamente alla valorizzazione della solidarietà: “La difficoltà 
        di giuridicizzare la fraternità sarebbe infatti una delle cause della 
        sua progressiva sostituzione con la nozione di solidarietà, la quale a 
        differenza della fraternità, non richiederebbe il sentimento di adesione 
        interiore, di simpatia e d'amicizia verso l'Altro” (4). Così, ad esempio, 
        si è rilevato come in Francia è stato accettato un Ministro della “Solidarité 
        nationale” e un patto civile di solidarietà, ma non sarebbe stato ugualmente 
        accettato un Ministro della Fraternità: “on frémit à l'idée orwelienne 
        d'un ministre de la Fraternité, qui se surajouterait à celui de la Vérité” 
        (5).
        La banalizzazione della idea di fraternità operata da alcuni intellettuali, 
        a nostro avviso, ha radici diverse da quelle asserite a tutela del “buon 
        senso” e della “concretezza”. La genericità delle obiezioni denuncia un 
        grande disagio: la fraternità è un principio esigente non tanto dagli 
        altri quanto da noi stessi in quanto ci richiede una attitudine globalmente 
        generosa e ciò ci procura tensione e anche scetticismo sulla sua realizzabilità 
        da parte degli altri. L’adesione alla fraternità ci chiede un cambiamento 
        interiore profondo verso l’altro, non una semplice adesione intellettuale, 
        fideistica o emotiva. 
        Afferma Mattei che ”con la libertà e l’eguaglianza le cose effettivamente 
        sono più chiare, perché queste parole parlano soprattutto di me, della 
        mia identità, dei miei diritti: una traduzione giuridica e politica è 
        possibile. Mentre la fraternità mi parla innanzitutto dell’altro, di tutti 
        gli altri e non più semplicemente di me… e forse dell’altro prima di me. 
        La fraternità ci parla dell’abisso che rappresenta l’altro di fronte a 
        me e mi dice qualche cosa di difficile da ascoltare e da integrare tramite 
        la coscienza” (6).
        Anche Manghi 
        osserva che se riflettiamo sulla fraternità, non tanto come “adesione 
        individuale a un ideale condiviso di solidarietà, contrapposto all'ideale 
        individualistico”, quanto come “riconoscimento fattuale” dell’altro, dobbiamo 
        ammettere che la difficoltà di vivere questo riconoscimento dell’altro 
        esiste e ci spinge alla scelta individualistica: ”stiamo parlando di una 
        difficoltà soggettiva generalizzata, che viene dalla sfida più radicale 
        che noi esseri umani abbiamo mai incontrato nella nostra storia […]. La 
        prima società i cui confini coincidono con quelli dell'intero pianeta. 
        La prima società nella quale gli sconosciuti si affacciano alla soglia 
        del nostro “Io” a sciami ogni giorno crescenti, obbligandoci a riflettere 
        a fondo, più di quanto non abbiamo mai fatto fino a oggi, su che cosa 
        intendiamo con la parola ‘relazione’ e a ripensare a fondo, appunto, la 
        nostra nozione più familiare di fraternità” (7).
Vi sono quindi remore profonde verso la fraternità che non concernono soltanto il timore di diminuire eventualmente i possessi materiali. Vi sono remore di ordine interiore tra le quali, a ben vedere, a nostro avviso, dobbiamo includere, oltre alle difficoltà di accettare l’altro, anche il timore di diminuire l’estensione dei nostri bisogni e dei nostri piaceri. Abbiamo il timore e la difficoltà di fare i conti con il nostro Ego. Abbiamo la paura di dover attraversare la cruna dell’ago. Questo è il grande scoglio che tutti noi dobbiamo affrontare, a cui accennavamo nelle prime pagine. Questo ostacolo è particolarmente temibile per la cultura intellettualistica cioè per quella cultura che ha separato la conoscenza intellettuale dalla vita vissuta.
![]()  | 
        
Sulle remore di ordine interiore allo sviluppo della fraternità, “principale pietra d’inciampo dell’occidente”, il genio di Dostoevskij ha dedicato le seguenti condivisibili riflessioni: ”Liberté, égalité, fraternité. Molto bene. Che cos’è la libertà? La libertà. Quale libertà? La libertà, per tutti uguale, di fare quello che si vuole, nei limiti della legge. Quando è possibile fare tutto quello che si vuole? Quando si possiede un milione. La libertà dà un milione a testa? No. Che cos’è un uomo senza un milione? Un uomo senza un milione è colui che non fa tutto quello che vuole, bensì è colui del quale si fa tutto quello che si vuole. Cosa dunque ne consegue? Ne consegue che, oltre alla libertà, c’è ancora l’uguaglianza, e precisamente l’uguaglianza davanti alla legge. Di quest’uguaglianza davanti alla legge si può dire soltanto che nelle forme in cui essa viene adesso applicata, ogni francese può e deve prenderla per un’offesa fatta a lui personalmente. Che cos’è dunque rimasto della formula? La fratellanza. Bene, quest’articolo è il più curioso e, occorre riconoscerlo, ha costituito fino ad oggi la principale pietra d’inciampo dell’occidente… Ma nella natura francese, e in genere in quella occidentale, di fratellanza non se n’è riscontrata; s’è riscontrato invece il principio personale, il principio dello starsene per conto proprio, dell’autosufficienza, dell’autodeterminazione del proprio Io personale, della contrapposizione di questo Io alla natura tutta e a tutta la restante umanità in quanto singolo principio autonomo, e di per sé solo assolutamente uguale e equivalente a tutto quello che esiste al di fuori di esso. Bene, da una tale contrapposizione non poteva certo derivare la fratellanza. Perché mai? Perché nella fratellanza, nella fratellanza vera non è la singola personalità, non è l’Io che deve arrabattarsi per affermare il proprio diritto all’aver egual peso ed egual valore di tutto il rimanente, ma proprio questo rimanente dovrebbe esso stesso andare da tale singola personalità che rivendica il proprio diritto, da questo io singolo, e, senza che glielo si chieda in alcun modo, ammetterne l’equivalenza in peso e valore con se stesso, cioè con tutto quel che esiste al mondo […]. Ma la personalità occidentale non è abituata a un tale andamento delle cose: essa rivendica con la lotta, esige questo preciso diritto, vuole che tutto venga ben spartito: e non ne viene certo fuori la fratellanza” (8).
        Alcuni pensatori, nella stessa direzione di indagine, hanno messo in evidenza, 
        acutamente, che la scarsa attenzione riservata alla fraternità non si 
        spiega soltanto sulla base della sua asserita incerta natura giuridica. 
        La ragione profonda, invece, risiederebbe nel fatto che la fraternità 
        implicando i doveri e quindi visioni dell'uomo e della vita propri di 
        una società di tipo oblativo, si scontrerebbe con i nostri modelli sociali 
        imperanti ove prevalgono il prendere, l’acquisire, l’istintività, etc. 
        Questo contrasto tra i valori di collettività propri della fraternità 
        e i valori individualistici propri di libertà e uguaglianza si sarebbe 
        manifestato da subito, fin dai tempi della Rivoluzione francese. In altri 
        termini, la fraternità, si è detto, appariva inconciliabile con l'égalité 
        e, soprattutto, con la liberté in quanto “la fraternità ha la missione 
        di unire, collegare, mentre libertà e uguaglianza promettono, al contrario, 
        l’indipendenza degli uomini. La Rivoluzione francese faceva riferimento 
        ad individui autonomi, mentre la fraternità è organicamente legata alla 
        vita dell'unità. Fin dai primi giorni della rivoluzione, il suo matrimonio 
        difficile con la libertà e l'uguaglianza apre il divario vertiginoso tra 
        diritti e doveri, ragione e sentimento, l'individuale e il collettivo” 
        (9). 
Ma tuttora, a distanza di secoli, il principio di fraternità, si è osservato, non sarebbe gradito giacché la nostra epoca è sempre più caratterizzata dal rifiuto tendenziale di tutto ciò che può limitare la realizzazione dei desideri e dei piaceri personali: questo timore prova, indirettamente, che in effetti, “il principio di fraternità, lungi dall'appartenere a un orizzonte culturale costruito intorno a facili e buoni sentimentalismi, è, al contrario, il principio in assenza del quale la civilizzazione non sarebbe neppure pensabile. È il principio senza il quale cadremmo nella dissoluzione morale generale […] dove impera il diritto di proprietà sul godimento, sempre, a ogni costo”(10).
        Le affermazioni sopra riportate circa la ricerca estrema del soddisfacimento 
        personale hanno un loro riscontro “nella riflessione avvenuta in campo 
        psicanalitico […] l'ipotesi sostenuta è che negli ultimi trent'anni, in 
        tutte le società occidentali, sarebbe intervenuto un mutamento nell'economia 
        psichica dei soggetti tanto profondo da comportare una discontinuità con 
        l'humus umano quale è stato rappresentato nella storia della nostra civiltà” 
        (11). Secondo questa riflessione, ”la «nuova economia psichica», tipica 
        dell'epoca ipermoderna, sarebbe caratterizzata dal passaggio da una cultura 
        fondata sulla rimozione dei desideri, sulla nevrosi, a un'altra che raccomanda, 
        al contrario, la loro libera e illimitata espressione […] la grande filosofia 
        morale di oggi consiste nel fatto che ogni essere umano dovrebbe trovare 
        nel suo ambiente ciò di cui soddisfarsi, pienamente. E, se così non succede, 
        è uno scandalo, un deficit, un dolo, un danno. Così, dal momento in cui 
        qualcuno esprime una qualsiasi rivendicazione, ha il legittimo diritto, 
        e la legislazione, se è in difetto, viene rapidamente modificata, di veder 
        soddisfatta la sua rivendicazione […] e questo lo si nota in tutti i campi 
        […]. Nella situazione attuale, non appena c'è un'aspettativa di questo 
        genere essa diviene legittima, e diviene legittimo che trovi soddisfazione. 
        In altri termini, di fronte a sempre nuove possibilità di godimento, impera 
        sempre la domanda: perché no? Tutta la storia del pensiero occidentale 
        ci ha insegnato che la bontà (naturale o artificiale) dell'ordine costituito 
        risiede, al contrario, proprio nell'accettazione da parte degli uomini 
        di limiti alla loro libertà naturale. In fondo, la civilizzazione non 
        è nient'altro che la disposizione degli uomini al sacrificio di una parte 
        del desiderio, al contenimento delle loro passioni sfrenate (e il contrattualismo, 
        compreso quello hobbesiano, è la versione razionale di tale civilizzazione)” 
        (12).
        Anche Donati osserva criticamente che “tutto ciò che è socialmente possibile 
        diventa etico. La vita sociale sembra perdere le qualità che fino a ieri 
        le attribuivamo… e cioè il fatto che le relazioni sociali siano espressioni 
        della persona e della sua soggettività… il calore delle relazioni famigliari, 
        nella coppia, tra genitori e figli si stempera sempre di più… si tratta 
        di irruzione del non-umano nel sociale che si distacca sempre più dall’umano. 
        La novità radicale consiste nell’emergere di un sociale che separato dall’umano 
        non ammette giudizio etico” (13). 
        Nella stessa linea critica, Berselli ci segnala come un politologo di 
        grande notorietà, D. 
        Bell, l'inventore della formula sulla «fine delle ideologie», abbia 
        illustrato efficacemente gli effetti corrosivi del mercato sulla vita 
        culturale della società contemporanea: “La vita morale della modernità 
        è stata lasciata senza guide trascendentali. La cultura si è cosi separata 
        dall'economia e dalla vita sociale. Il capitalismo […] si è arreso agli 
        imperativi del piacere e del gioco, del consumo. Il liberalismo (nell'accezione 
        americana) incoraggia la libertà individuale e la sperimentazione nell'arte 
        e nella letteratura cosi come nella vita economica. E tuttavia, agli occhi 
        di Bell, tale sperimentazione, allorquando penetra nelle aree della vita 
        familiare, della sessualità e dell'esperienza morale in generale, produce 
        un individualismo sfrenato che minaccia la struttura sociale e crea il 
        vuoto. «Nulla è proibito» e «tutto dev'essere esplorato»: «l'assenza di 
        un sistema di credenze morali radicate è la contraddizione culturale della 
        società, la più grave minaccia alla sua sopravvivenza»“ (14).
        L’insofferenza ad accettare limitazioni alla ricerca massima dei piaceri 
        personali si riflette anche nelle relazioni con la natura e tutto il cosmo: 
        ”una sfida fondamentale per gli esseri umani in quanto specie, implica 
        la necessità di accettare i limiti, rinunciando di fatto alla dipendenza 
        dal consumismo. In realtà, come sottolinea T. Berry, la "legge dei 
        limiti" è "principio cosmologico ed ecologico fondamentale. 
        Eppure, la modernità in massima parte ha rappresentato un rifiuto di questo 
        fondamentale imperativo: recentemente l'umanità ha tentato di rapportarsi 
        alle realtà cosmiche distruggendo la resistenza, negando il suo costo 
        intrinseco e aumentando l'intensità dei propri desideri. Se incontriamo 
        una qualche resistenza, ci adoperiamo per eliminarla. Se l'universo ci 
        chiede il tributo necessario per lo sviluppo, noi rispondiamo non pagando 
        il conto. Da un lato, se scopriamo nuovi desideri umani, profondiamo sforzi 
        immani per fomentare questi desideri, indipendentemente da quanto superficiali 
        e onerosi siano per gli altri membri della Terra […]. La cultura della 
        modernità è arrivata a considerare le limitazioni qualcosa di negativo, 
        eppure ogni autentico equilibrio richiede un certo grado di contenimento” 
        (15).
        Si è anche posto in luce che per essere liberi da limiti e da regole abbiamo 
        rimosso la presenza di Dio e del padre e ciò ci ha condotto necessariamente 
        a negare la fraternità: “L’idea stessa di fraternità ha dei contenuti 
        che vincolano: necessariamente la fraternità è ricevuta: come potrebbe 
        non esserlo? E come potrebbe non presupporre un’idea di paternità? Se 
        si vuole separare la fraternità dalla paternità, viene a mancare il principio 
        regolativo dell’autorità, e nasce una sorta di “fraternità conflittuale” 
        dei fratelli senza padre” (16).
        Sulla base delle precedenti riflessioni, si può sostenere che il valore 
        di fraternità è osteggiato non tanto perché comprime l’autonomia e la 
        libertà individuale, quanto per il fatto che non si armonizza con la mitizzazione 
        della trasgressione e del piacere. Osserva Girard 
        sul punto che “i moderni si immaginano sempre che le loro inquietudini 
        e le loro delusioni derivino dagli intralci opposti al desiderio dai tabù 
        religiosi, dai divieti culturali… Una volta rovesciate queste barriere, 
        essi pensano sboccerà il desiderio; la sua meravigliosa innocenza porterà 
        finalmente i suoi frutti... Tutto il pensiero moderno è falsato da una 
        mistica della trasgressione” (17). 
        Peraltro, non è un fuor d’opera segnalare che la fraternità di matrice 
        cristiana si colloca in una prospettiva teorica che non è limitante del 
        singolo individuo posto che, come notava Hegel, “il diritto della particolarità 
        del soggetto a trovare il proprio appagamento, vale a dire il diritto 
        della Libertà soggettiva, costituisce la chiave di volta e il punto centrale 
        nella differenza tra l'antichità e l'epoca moderna. Questo diritto, nella 
        sua infinità, è stato espresso nel Cristianesimo e qui è stato reso principio 
        universale reale di una nuova forma del mondo. A configurazioni più particolari 
        di esso appartengono l'amore, il principio romantico, il fine della beatitudine 
        eterna dell'individuo” (18). In questa affermazione ritroviamo implicitamente 
        l’atavico contrasto tra l’appagamento dell’Io tramite lo sviluppo delle 
        proprie facoltà interiori e l’appagamento tramite la ricerca dei piaceri. 
        Due modi di vivere che vanno in direzioni esattamente opposte. Storicamente, 
        abbiamo dato preponderanza alla seconda ricerca e l’abbiamo difesa aspramente. 
        Ma una parte dell’umanità inizia a stancarsi della corsa al piacere ad 
        libitum, una corsa senza via d’uscita e comincia a ricercare un appagamento 
        diverso. 
        Noi crediamo ingenuamente, osserva Serres, 
        che “la vecchia condotta del popolo romano, che reclamava senza posa panem 
        et circenses, pane e giochi, fosse risultato del suo stato di decadenza. 
        Assolutamente no: essa ne era causa. Credere, infatti, che una società 
        non viva che di pane e di giochi, di economia e di spettacolo, di potere 
        d'acquisto e di media, di banche di televisioni, come facciamo noi oggi, 
        costituisce un tale controsenso nel funzionamento reale di ogni collettività 
        che questa scelta esclusiva, erronea, la precipita verso la sua fine pura 
        e semplice come si è visto per l'antica Roma. Ciò equivarrebbe a dire, 
        per esempio, che a un organismo sia sufficiente vedere e mangiare; ma 
        senza respirare e né muoversi né bere esso morirebbe presto” (19).
        A supporto dell’idea che la fraternità possa essere, al contrario, motore 
        di libertà autentica, si è sostenuto che la fraternità, invitando a «rassembler» 
        e a «relier» (20), richiama ”gli individui al legame elementare che li 
        unisce, e ciò rappresenta effettivamente una minaccia permanente per quelle 
        istituzioni che tendono a isolarli per meglio potenziare la separatività 
        e quindi, in ultima analisi, per meglio dominarli” (21). Secondo questa 
        prospettiva, la fraternità appare inconciliabile con l’asservimento, palese 
        o surrettizio, della coscienza ed è per questa ragione che si cerca di 
        convincere l’opinione pubblica, al fine di tenerla dormiente, che la fraternità 
        è una utopia. 
        In definitiva, le vere ragioni ostative all’accoglimento della fraternità 
        non sembrano reperibili nelle diversità riscontrate nelle teorie politiche 
        o nelle speculazioni filosofiche o religiose, ma nella carente disponibilità 
        interiore dovuta, soprattutto, alla dipendenza rispetto alle debolezze 
        personali che abbisognano per essere soddisfatte di spazi ritenuti, paradossalmente, 
        luoghi di libertà, spazi che verrebbero ad essere compressi dalla fraternità. 
        
        Dunque, il nostro ‘Io’ si oppone e preferisce ritenere utopica la fraternità 
        in quanto teme di scomparire, cioè di perdere la propria identità e libertà. 
        Il problema è capire di quale “Io” parliamo: dell’identità costruita sul 
        nostro sé egocentrico, oppure, dell’identità costruita sul nostro Sé cooperatore? 
        Senza dubbio parliamo della prima identità. Peraltro, tutto ciò fa parte 
        della nostra esperienza verificabile: una volta che noi abbiamo rinunziato, 
        ad esempio, ad una determinata debolezza, non ci siamo sentiti svuotati; 
        pur perdendo un qualcosa, ci siamo sentiti liberati e arricchiti. Tutto 
        dipende, dunque, dal “Sé” con il quale il nostro l’Io si identifica. Peraltro 
        anche il monito evangelico valorizza l’idea che per vivere veramente occorre 
        morire, cioè rinunziare alle manifestazioni egocentriche (22). Non dobbiamo 
        dimenticare, per cogliere il cuore di questa argomentazione, che il sé 
        egocentrico genera (anche nella prospettiva buddista) una errata percezione 
        dell’Io e degli “altri”: siamo, osserva Ricard, 
        “fondamentalmente interdipendenti con gli altri esseri e con il nostro 
        ambiente. La nostra esperienza altro non è che il contenuto di un flusso 
        mentale, di un continuum di coscienza, e l’io non è un’entità distinta 
        da questo flusso. Dobbiamo immaginarlo come un’onda che si propaga, influenzando 
        il proprio ambiente ed essendone influenzata, senza per altro trasportare 
        alcuna entità. Ma siamo talmente abituati a mettere su questo flusso mentale 
        l’etichetta dell’io che ci identifichiamo con quest’ultimo e temiamo disperatamente 
        che possa scomparire. Ne consegue un forte attaccamento alla propria identità 
        e al concetto di “mio”: il mio corpo, il mio nome, la mia mente, le mie 
        proprietà, i miei amici… Da ciò scaturiscono sia il desiderio di possesso, 
        sia l’avversione verso gli altri. I concetti di “me” e di “altro” si cristallizzano 
        nella nostra mente portando al sentimento erroneo di un dualismo irriducibile 
        che è alla base di tutte le altre afflizioni mentali, i desideri alienanti, 
        l’odio, l’invidia, l’orgoglio e l’egoismo… la percezione erronea di un 
        io reale e indipendente è all’origine dell’egocentrismo” (23). 
        L'effetto più dannoso di tale illusione, osserva Aïvanhov, 
        “è che essa trascina gli esseri umani sulla via della separatività. Non 
        è il mondo, come credono certuni, ad essere “maya”, ma il nostro «sé» 
        inferiore, perché esso ci spinge sempre a considerarci come esseri separati 
        dagli altri e separati dall'Universo. Il mondo non è maya; il mondo è 
        una realtà, ed è una realtà anche la materia. L'illusione è crederci separati 
        dalla vita universale, da quell'Essere unico che è dovunque, ma che noi 
        non possiamo né sentire né comprendere, perché il nostro «sé» inferiore 
        ce lo impedisce” (24).
![]()  | 
        
        Siamo tutti coinvolti da questa ambivalenza e siamo tutti chiamati a compiere 
        una scelta. Il travaglio che stiamo attraversando nella società può essere 
        ben rappresentato dalla metamorfosi da bruco (sé inferiore) a farfalla 
        (Sé superiore), immagine alla quale ricorre Aïvanhov per descrivere lo 
        stadio attuale della nostra filosofia di vita e del balzo in avanti che 
        possiamo compiere: secondo la logica del bruco, il mondo intero è stato 
        fatto per lui, e ciò gli dà il diritto di devastare tutto senza preoccuparsi... 
        ha bisogno di mangiare le foglie, cioè di soddisfare i suoi appetiti a 
        scapito degli altri... Ma un giorno prova vergogna per il suo comportamento 
        e decide di migliorarsi; inizia allora a concentrarsi, a meditare e un 
        bel giorno si manifesta come farfalla (25). Anche Morin 
        recentemente ha fatto ricorso alla stessa metafora: “quando un sistema 
        è incapace di risolvere i suoi problemi vitali, si degrada (conflitti 
        etno-politico-religiosi che tendono a trasformarsi in scontri di civiltà), 
        si disintegra (pericolo nucleare), oppure riesce a suscitare un metasistema 
        capace di risolverli: si trasforma. Che cos’è una metamorfosi? Ne vediamo 
        infiniti esempi nel regno animale. Il bruco che si imbozzola in una crisalide” 
        (26).
![]()
 
        1. Margalit osserva: “C'è anche un altro motivo, tuttavia, per cui studiosi 
        e pensatori hanno preferito non dilungarsi sul tema della fratellanza: 
        il vago sentore di kitsch morale. Quest'ultimo attrae attivisti e propagandisti, 
        com'è noto, ma scoraggia gli autorevoli pensatori… Il vero neo del kitsch 
        è il sentimentalismo, che a sua volta ha il difetto di distorcere la realtà… 
        Milan Kundera arriva addirittura a sostenere che la vera prerogativa della 
        sinistra non è una particolare teoria, bensì il kitsch della "grande 
        marcia della fratellanza sorridente". Non condividiamo quest'ultima 
        osservazione, ma rileviamo che l'ambiguo sentimento di fraternità e la 
        moralità kitsch che così facilmente vi si accompagna hanno sovente scoraggiato 
        i grandi pensatori dal trattare seriamente il fenomeno”, A. Margalit, 
        Solidarietà, che cosa è oggi, in Reset, Luglio-Agosto, 2008, p. 77. Cfr. 
        I.M. Pinto, Costituzione e fraternità cit., p. 14. 
        2. Libertà e uguaglianza “possono sempre essere accostati a dei genitivi 
        (libertà di stampa, uguaglianza dei diritti) che ne specificano il senso 
        e ne moltiplicano l'uso. Fraternité, invece, sta da sola. La sua potente 
        carica affettiva, sottolineata da un'iconografia piena di uccelli, di 
        cuori, di bambini, di baci, di mazzolini di fiori, dispensa dal precisarla 
        ulteriormente, impedisce di attribuirle una rivendicazione e di prevedere 
        una sanzione legale alle mancanze che le potrebbero essere fatte. Tra 
        la liberté e l'égalité da una parte e la fraternité dall'altra, non vi 
        è dunque uno statuto equivalente. Le due prime sono dei diritti, la terza 
        un obbligo morale“ così M. Ozouf, Dizionario critico della Rivoluzione 
        francese cit., p. 657. Cfr. I.M. Pinto, Costituzione e fraternità cit., 
        p.15.
        3. A.M. Baggio, La fraternità: una sfida politica cit. 
        4. I.M. Pinto, Costituzione e fraternità cit., p. 9.
        5. Ibidem.
        6. B. Mattei, Solidarité ou Fraternité cit.
        7. S. Manghi, Ripartire dal legame fraterno, in Animazione Sociale, fasc. 
        267, vol. XLII, 2012, p.17. Negli ultimi decenni “l‘egemonia capillare 
        dell'immaginario individualistico neoliberista, vorrei dire più rigorosamente 
        narciso-liberista, in tutte le società avanzate, e non solo, ci ha immersi 
        profondamente in un senso comune ottusamente refrattario alla consapevolezza 
        che il legame relazionale è la materia prima, ci piaccia o no, di cui 
        sono fatte le nostre vite“, ibidem.
        8. F. M. Dostoevskij, Note invernali su impressioni estive, Editori Riuniti, 
        1984, pp. 71-73. 
        9. M. Ozouf, L'homme régénéré. Essais sur la révolution francaise, Gallimard, 
        Paris, 1989, p. 158. Cfr. I.M. Pinto, Costituzione e fraternità cit., 
        p. 17 e segg. 
        10. I.M. Pinto, ibidem. 
        11. Ivi, p.18. “Se con l'avvento della modernità il capitalismo ha avuto 
        tanto successo è perché esso è la forma storica che, meglio di ogni alternativa, 
        è stata capace di assorbire e plasmare la crescente quantità di energia 
        individuale liberata dalla modernità - energia che, in epoche precedenti, 
        era stata inquadrata all'interno di una visione religiosa- oggettivando 
        il desiderio sia attraverso il denaro, inteso come mezzo universale, sia 
        attraverso il benessere, materiale prima e immateriale poi” M. Magatti, 
        Per una crescita di nuova generazione, www.tonioloricerca.it. 
        12. I.M. Pinto, op.cit., p.18 e segg. 
        13. P. Donati, Il significato del paradigma relazionale, in P. Donati, 
        F. Colozzi (a cura di), Il paradigma relazionale nelle scienze sociali, 
        Mulino, 2006, p. 54.
        14. E. Berselli, L’economia Giusta, Einaudi, 2010, pp.19-20. La frase 
        citata è di A. Giddens, Oltre la destra e la sinistra, il Mulino, 1997, 
        p. 44. 
        15. L. Boff - M. Hathaway, op.cit., pp. 500-501. Il pensiero di Thomas 
        Berry è tratto da The Great Work, New York, Bell Tower, 1999.
        16. A.M. Baggio, L'idea di fraternità tra due Rivoluzioni cit.
        17. R. Girard, Delle cose nascoste fin dalla fondazione del mondo, Adelphi, 
        1983, p. 355.
        18. G.W. F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Bompiani, 2006, 
        p. 243.
        19. M. Serres, Tempi della crisi, Boringhieri, 2010, p. 35.
        20. M. Hunyadi, Dangereuse fraternité cit, p.172. La fraternità, sostiene 
        questo autore, ha una portata potenzialmente universale, è un concetto 
        prepolitico nel senso che designa qualche cosa d’antecedente alle istituzioni 
        politiche e il fatto che possa avere un contenuto vago e poco operativo, 
        è in realtà, la sua forza, “sa force performative”, ivi p.171.
        21. Ibidem. La traduzione è nostra.
        22. O.M. Aïvanhov, Natura umana e natura divina cit.
        23. M. Ricard, Il gusto di essere felici, Saggezza e benessere in ogni 
        momento della vita, Sperling & Kupfer, 2008. 
        24. O.M. Aïvanhov, Natura umana e natura divina cit.
        25. Idem, Conferenza 9 aprile 1938, in Opera omnia n. 2, Prosveta, 2010, 
        p. 9.
        26. E. Morin, Elogio della metamorfosi cit.
|    
                 Mappa cliccabile degli argomenti  | 
        
 
 
 Riflessioni storiche sul nostro travaglio collettivo e individuale Modulo 
              1.   | 
        ||
|   
  | 
        
 
 Ricognizione del pensiero recente, maturato in tema di cooperazione e fraternità in prospettiva laica e sociale  | 
        |
|   Modulo 
              3.   | 
        
|   
  | 
        
 
 La società e la Rete della vita. Riflessioni a supporto delle nostre scelte e di un possibile percorso di cambiamento verso una coscienza aperta agli interessi della collettività.  | 
        |
|   Modulo 
                4. Modulo 
                5. Modulo 
                6. Modulo 
                7. Modulo 
                8.  Modulo 
                9. Modulo 
                10. Modulo 
                11.   | 
        
|   
  | 
        
 
 Ripensare le basi concettuali dell’educazione alla cittadinanza. Alle radici della questione morale...  | 
        |
|   Modulo 
              11 bis   | 
        
|   
  | 
        
|   
  |