Attitudine a sperimentare il gusto e la pienezza della vita: la “scienza della Vita “Ogni vita richiede una scienza: la vita della pianta che vuoi coltivare... la tua stessa vita che devi sviluppare. Per vivere, bisogna saper vivere” |
1.
Coerente
con la rivalutazione della nostra vita quotidiana è anche il ritornare
a provare il gusto della vita: “Col passare degli anni, gli esseri umani,
per la maggior parte, perdono il gusto delle cose: respirano, mangiano,
camminano, vedono, ascoltano, senza che la loro coscienza prenda parte
attiva a queste attività; si direbbe che la loro sensibilità sia andata
affievolendosi a poco a poco. Ma ecco che qualcuno si ammala gravemente:
per mesi è costretto a rimanere nell’immobilità e nell’isolamento di una
camera, dove conduce un’esistenza vegetativa. Poi, un giorno, entra finalmente
in convalescenza, e allora, all’improvviso, il cibo, l’aria e la luce
gli appaiono deliziosi. E che gioia potersi di nuovo spostare liberamente,
uscire a contemplare il cielo, gli alberi e tutta la natura, ascoltare
il vento e il canto degli uccelli! Questo è il lato positivo di certe
malattie. Ma è ragionevole aspettare di avere un incidente o di ammalarsi
gravemente per ritrovare il gusto delle cose?” (1)
Occorre
uscire fuori dal “torpore psichico” nel quale siamo caduti: “molti di
noi hanno imparato a guardare e ascoltare di meno, a intorpidire i propri
sensi sia rispetto al dolore, sia rispetto alla bellezza del mondo naturale,
vivendo la cosiddetta vita privata […] sentendoci vuoti, proiettiamo i
nostri sentimenti sugli altri o ci lanciamo in attività compulsive insoddisfacenti
che non ci nutrono” (2).
Il
gusto della vita ci fa provare una qualità, un sapore della vita che ci
protegge dai decadimenti di varia natura che incombono a piè sospinto
nella vita quotidiana. Il vivere concretamente nell’area attrattiva esercitata
dai valori positivi costituisce una grande protezione, soprattutto, per
gli adolescenti rispetto alle attrattive di altra natura. Piuttosto che
parlare contro il disvalore, dovremmo invitare le persone a sperimentare
e a vivere con il proprio organismo il gusto della Vita. Il sapore, il
gusto lo possiamo provare se partecipiamo interiormente, con la nostra
natura empatica e fraterna, alla vita che viviamo. Gli antichi avevano
già stigmatizzato che il gustare comporta, a livello fisiologico, una
trasformazione e assimilazione dell’oggetto da parte del soggetto percipiente:
cioè assimilando, facendo nostre le bevande e i cibi, possiamo coglierne
il sapore. Lo stesso dicasi per il piano interiore e quello cognitivo.
Se non proviamo a sperimentare direttamente la sacralità della vita non
ne conosceremo il sapore. La conoscenza cerebrale non può darci questo
sapore, lo sappiamo; conseguentemente, non possiamo fermarci a questo
stadio se vogliamo migliorare. Appare interessante riportare alcune citazioni,
ancorché di matrice religiosa, che ben esprimono il nesso tra il gustare
e lo sperimentare. Pensiamo ad Origene
quando afferma che ogni singolo senso umano coglie l’esperienza spirituale:
“Cristo si qualifica come Luce che illumina gli occhi dell’anima, come
Parola per essere ascoltato; come Pane della vita per essere gustato”
(3).
Pensiamo a Gregorio
Magno il quale afferma: “gli eletti non si limitano ad ascoltare le
parole della sapienza, ma le gustano […] una cosa è infatti limitarsi
a sentir parlare di un cibo e un’altra è anche gustarlo […] gli eletti
non si limitano a sentir parlare del cibo della sapienza senza gustarlo,
perché ciò di cui sentono parlare acquista, grazie al loro amore, un sapore
che scende fino al midollo. La conoscenza dei malvagi, invece, si limita
alla percezione di un suono: sentono parlare delle virtù ma il loro cuore
freddo ne ignora il sapore” (4). Questa affermazione dovrebbe farci riflettere
molto sulla stoltezza della cultura “intellettualistica” posta a base,
talvolta, dei sistemi formativi (cfr.
modulo 11). La frase di Gregorio Magno ci richiama alla mente una
analoga riflessione di Aïvanhov:
certe persone non temono di lanciarsi in avventure pericolose e di provare
tutti i piaceri possibili in quanto ritengono che non conoscerli sarebbe
una grave mancanza; ma le stesse persone, quando si tratta delle esperienze
della natura superiore, si accontentano delle sole citazioni (Budda,
Mosè,
Platone,
Gesù
…) e “non cercano più di vivere e sperimentare quanto hanno citato” (5).
A livello pedagogico dobbiamo, dunque, tener conto della importanza di
provare il gusto della vita, anche perché “quando siamo guidati da una
‘morale del dovere’, vi è il rischio, rilevava Kant,
che non troviamo piacere nel bene e questo lo consideriamo un fardello.
Di contro, l'etica basata nella creazione e il sostegno della bellezza
rende ‘l'azione giusta’ allettante e persino gioiosa… dobbiamo creare
una cultura che ci renda capaci di compiere atti virtuosi con gioia” (6).
La Vita ci comunica questo “sapore” se siamo in armonia con il suo linguaggio.
Scrive Damasio:
“non soddisfatta del dono della semplice sopravvivenza, sembra che la
natura abbia avuto un magnifico ripensamento, nel senso che la dotazione
innata a disposizione degli organismi per la regolazione dei processi
vitali non mira al raggiungimento di uno stato neutrale - una terra di
nessuno - fra la vita e la morte. Piuttosto, obiettivo dell'omeostasi
è quello di offrire uno stato di vita migliore della neutralità, uno stato
che noi umani, prospere creature pensanti, identifichiamo con la buona
salute e il benessere”(7) .
Se la cultura e l’educazione non trasmettono questo sapore, questo gusto
della Vita, è naturale che i piaceri consumistici e materialistici prendano
il sopravvento.
2. La sperimentazione del gusto della vita non è, dunque,
la ricerca della cosiddetta adrenalina.
Il gusto della vita è una esperienza del nostro organismo, è una qualità,
una gradazione della vita che tutti abbiamo sperimentato, forse anche
in pochi momenti della nostra esistenza. Le diverse gradazioni della vita
le abbiamo sperimentate quando ci siamo sentiti: compressi, oppure, dilatati;
sprofondati, o al contrario, elevati; leggeri, oppure, appesantiti. Quando,
ad esempio, riscontriamo una sensazione di pienezza, di dilatazione interiore
derivante dal sentirci parte viva e integrante dell’Universo, sperimentiamo
una qualità della stessa vita suscettibile di essere rafforzata e protetta.
Per tale ragione alcuni pensatori sottolineano l’importanza di apprendere
la scienza della vita intesa in senso non meramente biologico, cioè non
quale semplice analisi e descrizione di ciò che accade in natura. La storia
del pensiero umano conosce da secoli le interrelazioni tra le scienze
umane e la scienza della vita intesa in senso stretto. Più volte nelle
nostre riflessioni le abbiamo riscontrate. Ma nel nostro contesto, la
parola “Vita” oggetto di studio non è la semplice vitalità, ancorché essa
sia fondamentale, ma la qualità della vita che si vive quando inizia a
svilupparsi dentro di noi una coscienza più ampia. Riportiamo queste efficaci
e convincenti parole sulla necessità della “scienza della vita” scritte
nel 1897 dal certosino J. Pollien: “Per proteggere e preservare la vita
bisogna conoscerla. Com’è possibile curare ciò che non si conosce? Guarda
il giardiniere… con la teoria studia, e con la pratica osserva la sua
pianta, le leggi che essa segue nella sua crescita, il suolo che richiede,
le cure che esige. Così acquista la scienza di giardiniere. Una volta
in possesso di questa scienza, egli è in grado di proteggere e favorire
la vita della sua pianta. Ma chi non sa, cosa potrà fare? Prova a coltivare
una pianta che non conosci, e vedrai che la prima necessità per te sarà
d’imparare, di osservare… per coltivare una pianta bisogna sapere. La
scienza della vita è dunque necessaria alla vita. La scienza della vita
è la cognizione delle leggi di sviluppo e delle necessità dell’ambiente:
sapere come si sviluppa, sapere che ambiente richiede al fine di preservare
il movimento vitale dagli errori, dalle lesioni, dalle deviazioni, dalle
compressioni: tutte cose che, contrastando la vita, finiscono con ucciderla…
Ogni vita richiede siffatta scienza: la vita della pianta che vuoi coltivare,
quella dell’animale che vuoi allevare, la tua stessa vita che devi sviluppare.
Per vivere, bisogna saper vivere” (8).
Anche per Aïvanhov, la scienza della vita è fondamentale: “Direte: «l’uomo
è già vivo!» No, voi confondete la vera vita con la vitalità, la vita
vegetativa. È chiaro che mangia, beve e gesticola, ma la vita ha vari
gradi. Quando l’uomo comincia a sentire questa vita universale, conosce
la vera vita e incomincia a viverla […] non c'è nulla che possa uguagliare
o superare la vita […] dovete quindi proteggere la vostra vita, purificarla,
illuminarla. La sola scienza che valga la pena di studiare è la scienza
della vita. Gli uomini si esauriscono per cercare il potere, il successo,
il prestigio, i soldi, e fanno della vita un mezzo per ottenere tutto
quello che desiderano. Dovrebbero invece considerarla come un fine, e
impiegare tutte le loro facoltà per rinforzarla, rischiararla e purificarla.
Quando l'uomo mantiene la vita in sé, il suo intelletto comprende, il
suo cuore ama e si rallegra, la sua volontà crea e si rafforza […]. Anche
gli scienziati devono comprendere che esiste una scienza della vita, poiché
la vita spirituale poggia su alcune leggi. Io li invito dunque tutti ad
allargare il loro campo di investigazione” (9).
Anche lo scienziato Capra
dà atto che vi sono diversi gradi di intensità della vita: “i nostri
momenti spirituali sono quelli in cui sentiamo la nostra vita con maggiore
intensità. Il senso di vita che avvertiamo in questo «culmine d'esperienza»,
come l'ha definita Maslow non riguarda soltanto il corpo ma anche la mente
[…] nell'esperienza spirituale avvertiamo l'unità della vita della mente
e del corpo che trascende non solo la separazione di mente e corpo ma
anche la separazione di Io e il mondo. Il punto culminante di questi momenti
spirituali consiste in un profondo senso di unità con il Tutto, un senso
di appartenenza all'intero universo […] la nuova concezione scientifica
della Vita è in grado di rendere ragione di questo senso di unità con
il mondo naturale” (10).
3.
Il gusto della Vita non si esaurisce in
momenti meditativi. Il gusto della Vita si sperimenta, agevolmente,
quando si vivono con consapevolezza i vari momenti sorgivi della nostra
esistenza e si destano in noi meraviglia (11), gratitudine verso tutto
ciò che ci circonda, nonché il bisogno di partecipare con una nostra impronta
creativa, cooperativa ed empatica, a tutta la nostra vita di relazione.
D’altronde, lo abbiamo già osservato: il sapiente è colui che coglie il
sale della vita, assaporando il gusto della vita e coinvolgendo, con il
suo esempio, altri esseri sul suo stesso percorso (cfr.
modulo 11).
Dobbiamo, dunque, vincere le abitudini e gli automatismi che ci impediscono
di vivere con consapevolezza i frequenti e significativi momenti sorgivi:
quando iniziamo la giornata, quando ogni giorno vediamo il Sole presentarsi
ai nostri occhi, quando guardiamo per la prima volta un essere visto già
migliaia di volte, quando ogni giorno iniziamo a nutrirci, etc.
L’arte dei momenti sorgivi è densa di stupore, umiltà, nobiltà e ispiratrice
di comportamenti più equi e gratificanti. La scienza della vita studia
come proteggere e sviluppare in noi queste qualità, questa intensità della
vita.
L’attenzione ai momenti sorgivi della Vita deve farci riflettere, ad esempio,
sul fatto elementare che la nostra Vita sul nostro pianeta dipende dal
Sole. Già Leonardo
aveva riconosciuto che “l’energia che guida i cicli biologici di crescita
e rinnovamento, vita e morte, proviene dal
Sole (12) . I cicli della vita nel mondo naturale e la potenza vivificante
del Sole
furono le fondamentali caratteristiche della vita che Leonardo osservò
e studiò” (13). Ma noi riflettiamo su tutto ciò, soprattutto, quando dobbiamo
acquisire energie solari da consumare per le nostre attività, preferendo
rifuggire da un approccio di gratitudine e consapevolezza.
Abbiamo preferito immaginare una Natura
muta e vuota al fine di poterla depredare, senza incorrere in rimorsi
di coscienza. Anche questo approccio puramente utilitaristico andrebbe
superato, vincendo, definitivamente, atavici pregiudizi sulla coscienza
della Natura e dell’Universo
(14) . Pregiudizi derivanti da interpretazioni paludate fornite nel
passato anche in alcuni ambienti religiosi, ma non condivise da tanti
mistici. Scrivono Boff e Hathaway che “tutti i biografi di San
Francesco attestano lo straordinario affetto [di Francesco]
per tutte le creature; lo riempiva di una gioia mirabile e indicibile
quando guardava il Sole o la Luna o le stelle del firmamento” (15).
Eppure, al fine di evitare qualsivoglia confusione con il paganesimo ovvero con tradizioni locali legate al culto delle forze della natura, abbiamo addirittura preferito recidere i legami vivi con la Natura (16). Rifkin evidenzia, infatti, che le narrazioni di alcune religioni sono rimaste per lungo tempo “disincarnate ed extramondane, tagliando fuori così l'estensione empatica, la ricerca di comunione tra gli esseri e l'immanenza di Dio nel cosmo” (17). Ma queste interpretazioni non appaiono più in sintonia con le nostre sensibilità e le acquisizioni scientifiche.
Abbiamo coltivato per troppo tempo una visione antropocentrica
che nei fatti ha fornito la legittimazione culturale a una visione e a
una economia materialistica (18). Abbiamo coltivato, soprattutto, in occidente,
per secoli, l’idea di una natura meccanica, priva di sacralità e di anima,
soggetta al nostro legittimo sfruttamento. Affermazioni in senso contrario,
erano considerate da taluni, con molta superficialità, quali manifestazioni
di idolatria
e di panteismo.
Anche se occorre riconoscere che nel passato l’adesione alla natura poteva
costituire, se intesa come adesione alla vita istintiva, un fattore di
resistenza da parte degli strati sociali più semplici ad accettare una
eventuale azione educativa di orientamento etico. Questo è vero: talvolta
le tradizioni locali nutrivano il culto delle forze di natura, congiuntamente
alla libera manifestazione degli “istinti naturali”. Ma detta circostanza
storica non deve condurci a negare l’evidenza e a rifiutare una cosmologia
“vivente e vitale” quale quella, ad esempio, recepita dalla
Carta della Terra (19). La spiritualità cristiana, osservano Boff
e Hathaway, può, infatti, essere ben integrata nel paradigma ecologico
(20).
Se non nutriamo relazioni vive e autentiche con la Natura, impediamo a
noi stessi di provare stati di pienezza interiore, come ha precisato Aïvanhov
(21). Anche Maturana,
nello stesso senso, ha osservato che “in Europa, che è la nostra fonte
culturale, prima del patriarcato si viveva in armonia con la natura, nel
piacere della conformità con il mondo naturale, nello stupore della sua
bellezza, e non in lotta con la natura. A che scopo educare? Per recuperare
questa fondamentale armonia che non distrugge, che non sfrutta, che non
abusa, che non pretende di dominare il mondo naturale, ma che vuole conoscerlo
nell'accettazione e nel rispetto, affinché il benessere umano si produca
nel benessere della natura nella quale si vive” (22).
Lo scienziato
Carlo Remigio Rossi, nel ricostruire la catena della vita, dopo essersi
soffermato sulle cellule vegetali che captano l’energia della luce del
Sole e sugli ulteriori processi trasformativi, conclude la sua riflessione
con queste parole: “il mio Pensiero si esprime nella parola o nella scrittura
utilizzando il potenziale elettrochimico transmembrana cellulare dei neuroni.
Le grandi opere del Pensiero, la musica, la pittura, l’arte sono espresse
tramite il potenziale elettrochimico transmembrana neuronale che viene
dalla luce del Sole. Con il potenziale elettrochimico transmembrana vi
ho comunicato la Vita delle cellule, e le cellule, con la loro straordinaria
e armonica complessità intesa a dare a noi la vita, vi hanno parlato di
Dio. La vita delle cellule: una piccola corrente elettrica dalla Luce
del Sole al pensiero. Guardo stupito. Ammirato, commosso…”(23) .
Ma se è vero che le cellule e la Natura ci parlano di Dio, occorre ammettere
che è parimenti vero che il Sole, con la sua “potenza vivificante”, a
maggior ragione, deve contenere, logicamente, un Suo elevato messaggio
a noi destinato: infatti, “de
Te Altissimo porta significatione” affermava San Francesco nel suo
famoso cantico. Se è bello e poetico contemplare un fiore, la vetta di
una montagna, una cascata, perché, allora, non dovrebbe essere altrettanto
arricchente contemplare il Sole al suo sorgere? Il fatto che nel passato
il Sole sia stato oggetto, talvolta, di culto fine a se stesso, non è
un motivo intelligente per rifiutarne oggi il suo valore sapienziale,
soprattutto, nel quadro della cosmologia “vivente e vitale” prima richiamata.
Analogamente, il fatto che l’idea di Dio sia stata impiegata da taluni
per provocare la morte non è una ragione intelligente per non credere
in Dio. Ma dovremmo anche chiederci nell’ambito di una riconciliazione
onesta con la Natura, come può non essere ritenuta cosciente quella energia
che, come sopra evidenziato dallo scienziato Rossi, ci permette di pensare
e di parlare (24).
Non a caso, per molti la contemplazione del sorgere del Sole è una tra le modalità più significative in grado di ripristinare il collegamento tra noi e la “potenza vivificante” della Natura (25). Beninteso, non quale pratica di culto, e ciò è importante sottolinearlo onde non ingenerare equivoci (26). In effetti, lungi dall’essere manifestazione di una concezione panteista, la contemplazione del sorgere del Sole, in questo approccio, esprime il profondo desiderio di cogliere e ricevere quella “Significatione” al fine di portarla nella propria esistenza quotidiana. In questa prospettiva, il Sole è concepito non come realtà alternativa o identica al Creatore. Peraltro, Filone Alessandrino, aveva scritto che tutte le opere che ci circondano sono creature di Dio e sono anche poemi e messaggi per l’umanità (27). D’altronde, l’espressione francescana “di Te porta Significatione” dovrebbe essere letta in questa direzione. Anche nei testi sacri è presente l’idea della “Natura”depositaria di significati. Certamente, questa presenza divina nella Natura non significa identità panteistica tra creato e Creatore (28).
Il timore di legittimare antichi culti pagani ci ha, talvolta, indotti nell’errore di porre nell’ombra la ricchezza reale della Natura di cui abbiamo bisogno per il nostro sviluppo etico (29). Vi era il timore, rivelatosi oggi infondato, che l’attenzione alla coscienza della Natura, e in particolare al Sole, potesse comportare una svalutazione della religiosità e una deminutio del potere religioso e dei suoi riti. Oggi questi timori fanno parte di un passato lontano. Non possiamo perpetuare l’errore di ritenere Madre Natura, priva di anima, e di rimuovere la presenza del Sole dalla stessa Natura. Il Sole con il quale siamo già naturalmente connessi nella comune Rete della Vita, può risvegliare in noi il nostro archetipo luminoso (30). Riprendere i contatti vivi con la Natura, entrare in relazione con i suoi “Significati”, contemplarne la sua bellezza e purezza, può solo renderci uomini migliori e può spingerci non verso il culto delle forze o la liberazione degli istinti, ma, al contrario, ad assumerci le nostre responsabilità e a esprimere la nostra vera Natura fraterna, empatica e cooperativa, in sintonia anche con la “Significatione” oblativa del Sole (modulo 12.14).
1.
O.M. Aïvanhov, Pensieri Quotidiani, 30 aprile 2014, Prosveta.
2. S. Conn, Ecopsychology: restoring the Earth, healing the self, 1985,
citato da L. Boff - M. Hathaway, op.cit., p. 198.
3. Cfr. Origene, Commento al Cantico II, 167, 25. I corsivi nel testo
sono nostri.
4. Gregorio Magno, Moralia, 11, VI, 9. I corsivi nel testo sono nostri.
5. O.M. Aïvanhov, Pensée du 10 février 1982, Prosveta.
6. L. Boff - M. Hathaway, op.cit., p. 506.
7. A. Damasio, Emozione e coscienza cit., p. 49.
8. J. Pollien, Soyez chrétiens, 1897, pubblicato in italiano da Marietti
editore, 1964.
9. O.M. Aïvanhov, Pensieri Quotidiani, 17 novembre 2005, Prosveta.
10. F. Capra, La scienza della vita cit., pp. 114-115. Di queste riflessioni
Capra è debitore allo psicologo D. Steindl-Rast autore di Spirituality
as Common Sense” cfr. ivi, p. 114.
11. “Ma la meraviglia... non va confusa con lo sbalordimento di fronte
a uno spettacolo fuori dell’ordinario. Essa è, piuttosto, l’atteggiamento
di chi guarda con occhi limpidi la realtà. Nel prodigio di questo sguardo
nuovo che si apre sul mondo, quel che più profondamente suscita meraviglia
è proprio l’ordinario, ciò che da sempre stava davanti a noi e che forse
proprio per questo era diventato invisibile”, G. Savagnone, Theoria. Alla
ricerca della filosofia, La Scuola, 1991, p. 84.
12. P. Santoianni, “Sole”, Universo del Corpo, Enciclopedia Treccani,
2000.
13. F. Capra, L’anima di Leonardo cit., p. 326.
14. Cfr. R. Sheldrake, Le illusioni della scienza cit. Cfr. O.M. Aïvanhov,
Conférence “Le paganisme et le christianisme”, 3 mai 1947, Prosveta; Idem,
Natura naturale e natura antinaturale, in La chiave essenziale cit.
15. L. Boff - M. Hathaway, op.cit., p. 563.
16. O.M. Aïvanhov, Pensieri Quotidiani, 26 marzo 2005, Prosveta.
17. J.Rifkin, op.cit., p.159.
18. Sta emergendo una nuova scienza, afferma Rifkin “i cui assunti e principi
operativi sono più adatti al pensiero reticolare. La vecchia scienza considera
la natura come oggetto; la nuova come relazione. La vecchia scienza è
caratterizzata da distacco, espropriazione, dissezione e riduzione; la
nuova da impegno, condivisione, integrazione e olismo. La vecchia scienza
mira a rendere la natura produttiva; la nuova a renderla sostenibile.
La vecchia scienza cerca il potere sulla natura; la nuova una partnership
con la natura. La vecchia scienza premia l'autonomia dalla natura; la
nuova la partecipazione alla natura. La nuova scienza ci porta da una
visione colonialista della natura come nemico da saccheggiare e schiavizzare
a una visione della natura come comunità da nutrire” op. cit., p. 555.
19. L. Boff - M. Hathaway, op.cit., p. 508 e segg.
20. Ivi, p. 536 e segg. Nel quadro di questo rinnovato pensiero circa
le relazioni tra l’uomo e la natura si fa spesso uso della parola “Panenteismo”
(da non confondere con il panteismo) con la quale si vuole esprimere l’idea
che Dio è sì nel cosmo ma non può essere identificato con il Cosmo, cioè
il Creatore non è identico al creato, ivi, p. 547. Rifkin riporta (op.cit.,
p. 159) la seguente definizione di Borg: “Il panenteismo è un modo di
pensare a Dio tanto come immanente quanto come trascendente. Per il panenteismo,
Dio non è un essere «che sta là». La radice greca della parola indica
il suo significato: pan significa «tutto»; en significa «dentro»; e theos
significa «Dio». Dio è più di tutto (quindi è trascendente) ma tutto è
in Dio (quindi Dio è immanente). Per il panenteismo, Dio è «proprio qui»,
anche se non è solo «proprio qui»“ M.J. Borg, The God We Never Knew: Beyond
Dogmatic Religion To A More Authenthic Contemporary, Harper Collins, 1998.
21. O.M. Aïvanhov, Conférence “La plenitude”, 3 mai 1947, Prosveta. Cfr.
Idem, Regole d’oro per la vita quotidiana cit. Cfr. Idem, La natura naturale
e la natura antinaturale in La Chiave essenziale cit.
22. H. Maturana, Emozioni e linguaggio cit., p. 39.
23. C. R. Rossi, La vita delle cellule cit. Una affermazione analoga è
attribuita ad Albert Szent-Györgyi (premio Nobel per i suoi studi sulla
vitamina C): “ciò che sostiene la vita… è una piccola corrente elettrica
di luce mantenuta dal Sole“.
24. Ogni cosa, rilevano Boff e Hathaway, ogni entità, dalla particella
subatomica alle galassie, partecipa, in qualche misura della coscienza
della vita: “la differenza tra lo spirito di una montagna e lo spirito
umano non è di principio, bensì di grado” op.cit. p. 534. “Per le persone
istruite, nel mondo del lavoro, degli affari e della politica, la natura
è meccanicistica, una fonte inanimata di risorse naturali, sfruttabile
per lo sviluppo economico: le economie moderne sono costruite su questo
fondamento. Ma spesso quelle stesse persone in privato hanno un atteggiamento
del tutto diverso […] i bambini vengono spesso allevati in un'atmosfera
animistica di fiabe, animali parlanti e trasformazioni magiche […]. La
natura viene fortemente identificata con la campagna, in opposizione alla
città e in particolare con i luoghi selvaggi e incontaminati. Molte persone
che vivono in un ambiente urbano sognano di spostarsi in campagna [...]
la nostra relazione privata con la natura presuppone che sia viva [...].
Questa divisione fra razionalismo pubblico e romanticismo privato fa parte
del modo di vivere occidentale da generazioni, ma sta diventando sempre
più insostenibile. Le nostre attività economiche non sono separate dalla
natura, bensì influenzano l'intero pianeta. La nostra vita privata e pubblica
sono sempre più intrecciate” R. Sheldrake, Le illusioni della scienza
cit., pp. 12-13. Molte persone, aggiunge Sheldrake, che hanno animali
domestici danno per scontato che il loro cane, il loro gatto, il loro
pappagallo o il loro cavallo abbiano esperienze soggettive, cioè emozioni,
desideri e paure. Poi quando devono pronunciarsi sulla realtà delle loro
esperienze soggettive, sono materialisti, ivi, p. 313.
25. Cfr. O.M. Aïvanhov,
Meditazioni al sorgere del Sole, 2000, Prosveta. Lo scienziato R.
Sheldrake, ad esempio, riconosce che il sistema solare potrebbe essere
cosciente: ”Sì, certo, lo penso. E se un sistema come quello del Sole
è cosciente, allora potrebbe avere anche degli scopi… penso che tutto
il sistema solare sia sotto l'influenza del Sole, come credo tutti sappiano,
del suo campo elettromagnetico. Se il Sole è in realtà cosciente, la sua
coscienza pervade completamente tutto il sistema solare e la nostra coscienza…
In questo senso siamo strettamente connessi. Questo scienziato precisa:
”rispetto alla coscienza delle stelle e dei corpi celesti, penso che siamo
nella stessa posizione dell’astronomia. Non possiamo fare esperimenti
sul sole o sulla galassia, o su altre galassie. Possiamo solo osservarle,
e imparare da ciò che osserviamo. Ma se c’è una coscienza del sole, dovrebbe
essere un po’ più facile, perché potrebbe essere qualcosa con cui possiamo
interagire. Dovremmo essere in grado d’interagire con essa attraverso
la nostra coscienza piuttosto che con degli strumenti fisici. Dall’elettroencefalogramma,
dall’elettrocardiogramma e da cose del genere, potrei imparare molto di
ciò che accade nel tuo corpo, tuttavia non potrei sapere che cosa accade
nella tua coscienza. Il solo modo di scoprirlo sarebbe incontrarti, stare
insieme, parlarti, entrare in empatia... Quindi, la stessa cosa si dovrebbe
applicare alla coscienza del sole o delle galassie... Se cominciamo a
comunicare con loro, lo faremo attraverso e secondo i significati della
nostra stessa coscienza. Questo ovviamente non è previsto dalla metodologia
attuale delle scienze fisiche. Questo non significa che lo sarà per sempre”
cfr. Intervista di Hal Blacker a R. Sheldrake, www.innernet.it.
26. Sui concetti di Sole fisico e di Sole spirituale nella prospettiva
cattolica, cfr. Lettera enciclica
“Lumen Fidei”, firmata da Papa Francesco il 29 giugno 2013, w2.vatican.va:
“Nel mondo pagano… si era sviluppato il culto al dio Sole, Sol invictus,
invocato nel suo sorgere… Consapevoli dell’orizzonte grande che la fede
apriva loro, i cristiani chiamarono Cristo il vero sole, «i cui raggi
donano la vita»”.
27. “Si potrebbe dire con il filosofo ebreo alessandrino Filone (I secolo
d.C.) che Dio ha composto dei poiemata, cioè delle ‘opere’ che sono anche
‘poemi’, ‘messaggi’… L’orizzonte creato per il credente ebreo o cristiano…
è soprattutto un ‘testo’, un bagliore del Creatore, una presenza nascosta
ma reale” G. Ravasi, www.avvenire.it, 19 aprile 2008.
28. Ibidem. Ci ricorda Ravasi: “nel Salmo 19 dedicato al Creato è il sole
che, come un atleta o un eroe gagliardo, corre la sua orbita quotidiana
divenendo quasi un araldo del suo Creatore. Nel libretto del profeta Baruc
si dice che «le stelle brillano dalle loro vedette e gioiscono. Dio le
chiama per nome ed esse rispondono: Eccoci! E brillano di gioia per colui
che le ha create» (3,34-35). Nell’idillio primaverile dipinto nel Salmo
65, la terra diventa come un manto fiorito e chiazzato di greggi perché
in essa è passato col suo cocchio il Signore delle acque e della fecondità
e «tutti gridano e cantano di gioia» […] il libro della Sapienza osserverà
che «dalla grandezza e dalla bellezza delle creature per analogia si conosce
l’autore» (13,5)” G. Ravasi, L’armonia della creazione nella Scrittura,
Convegno Nazionale “Costruire bene per vivere meglio”, Roma, aprile 2008.
29. La legge naturale, scrive Ratzinger, “ci rivela che anche la natura
racchiude in sé un messaggio morale. Il contenuto spirituale della creazione
non è solamente di natura meccanico-matematica [...]. Ma c’è un sovrappiù
di spirito, di ‘leggi naturali’ nel creato, che reca impresso in sé e
ci rivela un ordine interiore” J. Ratzinger, Dio e il mondo, San Paolo,
2001, p. 142.
30. Cfr. O.M. Aïvanhov, Verso una civiltà solare cit., p. 25 e segg.
Riflessioni storiche sul nostro travaglio collettivo e individuale Modulo 1. Premessa storica. Riflessioni sull'evoluzione nella società delle idee laiche di solidarietà e fraternità. |
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Ricognizione del pensiero recente, maturato in tema di cooperazione e fraternità in prospettiva laica e sociale |
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Modulo 3. L’appello della cultura, nell’era della globalizzazione e delle interdipendenze, al valore di cooperazione, indispensabile quanto la libertà e l'uguglianza. |
La società e la Rete della vita. Riflessioni a supporto delle nostre scelte e di un possibile percorso di cambiamento verso una coscienza aperta agli interessi della collettività. |
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Modulo 4. Il nuovo senso civico dello stare insieme in collettività, nella Rete della Vita. Il contributo della scienza .... Modulo 5. L’atto di cooperazione fraterna non è atto di impoverimento o di accettazione passiva dell’altrui egocentrismo Modulo 6. Perché il nostro “Io” si oppone alla cooperazione? Modulo 7. La nostra scelta avanti al bivio: Modulo 8. Il ruolo della coscienza e del modo di vivere per il cambiamento. Modulo 9. La moralità della vita vissuta condiziona i processi cognitivi.... Modulo 10. Gli apporti cognitivi dell’intelligenza del cuore. Modulo 11. Occorre superare il distacco tra cultura e modo di vivere... |
Ripensare le basi concettuali dell’educazione alla cittadinanza. Alle radici della questione morale... |
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Modulo 11 bis Il processo di adeguamento interiore alle prescrizioni civiche |