|   Modulo 9. La moralità della vita vissuta condiziona i processi cognitivi. L'importanza della applicazione e sperimentazione dei valori ai fini della piena comprensione...  | 
        
1. La moralità del modo di vivere influenza il processo cognitivo. Mediante l’azione completiamo il processo di comprensione
2. L’applicazione e la sperimentazione, elementi indefettibili della cultura
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1. La moralità del modo di vivere influenza il processo cognitivo. Mediante l’azione, completiamo il processo di comprensione.
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Se 
        il processo della comprensione è, dunque, condizionato dalla vita concretamente 
        vissuta, l'intelligenza non può essere una prerogativa del solo cervello, 
        come afferma anche Chopra: 
        l’intelligenza non sta solo nella testa in quanto essa si esprime a livello 
        subcellulare, cellulare o dei tessuti e a quello del sistema nervoso centrale 
        (1).
        Se così è, dobbiamo ritenere, come già rilevava Aïvanhov, 
        che "le capacità intellettuali dell'essere umano non sono unicamente 
        il risultato dei suoi studi o delle sue riflessioni, ma sono anche la 
        conseguenza dello stato buono o cattivo di tutte le cellule del suo organismo 
        fisico. Egli deve dunque mostrarsi vigile facendo attenzione alla qualità 
        del suo nutrimento fisico, ma anche psichico (le sue sensazioni, i suoi 
        sentimenti, i suoi desideri e i suoi pensieri)” (2). Ed ecco perché la 
        presa di coscienza del cambiamento può sì avviarsi da uno stimolo sentimentale 
        o intellettuale, ma poi ha bisogno, per perfezionarsi e radicarsi, del 
        contributo di tutto il nostro essere, di tutta la nostra autenticità, 
        di tutto il nostro modo di vivere.
        Dobbiamo, quindi, concordare con quei pensatori per i quali non è possibile 
        conoscere effettivamente una qualità, limitandosi alla lettura di un libro 
        o all’ascolto di conferenze. Tutto ciò non porta alla reale comprensione 
        di una qualità. La verità non la si conosce, se non vivendola, applicandola. 
        Soltanto quando si vivono le cose si può dire che le conosciamo (3). Il 
        vero comprendere presuppone l’applicazione, l’incarnazione: “ogni verità 
        con la quale entriamo in contatto va fatta scendere in noi fino a impregnarne 
        tutto il nostro essere psichico e anche il nostro essere fisico. La comprensione, 
        quella vera, avviene dunque non solo attraverso le cellule del cervello, 
        ma anche attraverso le cellule del cuore, dello stomaco, dei polmoni, 
        del fegato e di tutti gli altri nostri organi. Se le cellule di tutti 
        gli altri organi non vengono mobilitate anch’esse in questo lavoro, ne 
        consegue che pure le capacità del cervello diminuiscono. Per far sì che 
        la nostra comprensione sia completa, tutte le cellule del corpo devono 
        partecipare” (4).
        Coerente con queste affermazioni è la teoria della conoscenza di Santiago 
        sopra accennata, quando pone in luce che la stessa cognizione “non si 
        identifica col semplice rappresentare un mondo che esiste indipendentemente 
        dal soggetto; essa, piuttosto, potrebbe essere definita come un continuo 
        processo in cui, attraverso la vita, viene fatto emergere un mondo […] 
        apprendimento e sviluppo non sono altro che le due facce della stessa 
        moneta” (5).
        Secondo questa teoria della conoscenza, “vivendo e agendo” noi conosciamo 
        in quanto la cognizione si produce attraverso l’atto di fare qualcosa 
        attivamente (6) ; ciò comporta “che esiste una profonda co-implicazione, 
        una co-determinazione tra quello che sembra essere fuori e quello che 
        sembra essere dentro. In altri termini, il mondo là fuori e quello che 
        io faccio per individuare me stesso in quel mondo non possono essere separati. 
        Il processo stesso li rende del tutto interdipendenti” (7). Ogni esperienza 
        cognitiva, afferma Capra, 
        “si basa su uno specifico assembramento di cellule, in cui molte attività 
        neurali diverse, associate (percezione sensoriale, memoria, movimento 
        del corpo, etc.) si unificano in un insieme transitorio ma coerente di 
        neuroni oscillanti” (8). Conoscere equivale a vivere e vivere equivale 
        a conoscere. In altre parole, per gli scienziati citati, “la cognizione 
        coincide con il processo stesso della vita” (9). Si tratta di “una radicale 
        estensione del concetto di cognizione e, implicitamente, del concetto 
        di mente. In questa nuova visione, la cognizione riguarda l'intero processo 
        della vita, includendo percezioni, emozioni e comportamento” (10). 

        Alla visione del corpo umano come una macchina e della mente come un'entità 
        separata se ne va sostituendo, osserva Capra, un'altra in base alla quale 
        “non solo il cervello ma tutto il sistema immunitario, i tessuti corporei 
        e ogni singola cellula costituiscono un sistema vivente e cognitivo” (11).
        Già in una conferenza del 1951, Aïvanhov chiariva che la vita determina 
        la comprensione nel senso che si comprende a seconda del modo di vivere: 
        pertanto, bisogna vivere in modo corretto per poter comprendere veramente. 
        Ma tutto ciò, precisava, non può essere accettato da tutti i pensatori 
        che tendono a separare la conoscenza, il sapere dalla vita vissuta (12). 
        Il lato morale cioè la qualità della vita vissuta riflette e agisce, dunque, 
        sulla intelligenza e la coscienza. Questa affermazione veramente straordinaria 
        circa la correlazione tra vita vissuta e processo cognitivo dovrebbe essere 
        posta alla base del nostro sistema educativo e formativo.
        Certamente, partire da una corretta comprensione intellettuale è fondamentale. 
        La comprensione intellettuale riveste un peso preponderante in tutto il 
        processo in quanto non si può applicare ciò che non si comprende. Ma questa 
        comprensione per essere piena, deve toccare anche il nostro sentimento 
        per arrivare infine a modificare la nostra realtà comportamentale. Tra 
        la comprensione (inizio) e l’applicazione (fine), vi è il sentimento (intermediario) 
        senza il quale ciò che pensiamo non diventa azione (13). Una volta completato 
        questo processo tramite l’azione, la comprensione si ritrova arricchita 
        a sua volta di nuovi contenuti (14). Che l’applicazione integri la comprensione 
        è verificabile immediatamente da tutti noi, se pensiamo ai casi nei quali 
        il fare determinate cose ha fatto scattare in noi la comprensione di qualcosa 
        che all’inizio ci sfuggiva intellettualmente. La comprensione meramente 
        cerebrale è, dunque, parziale. 
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        2. L’applicazione e la sperimentazione, elementi indefettibili 
        della cultura.

“Esigere che gli studenti si limitino a osservare con distacco il mondo come fosse un oggetto privo di vita, nega l'aspetto relazionale della realtà, inibisce la partecipazione. Agli studenti, in pratica, si chiede di diventare alieni nel mondo”
Affermare che tutto l’organismo partecipa alla conoscenza, vuole dire riconoscere, come prima evidenziato, che anche dalla stessa applicazione concreta (cioè dall’organismo in azione) si attivano nuovi processi cognitivi che ci fanno conoscere altri aspetti fondamentali di quel valore a un punto tale che essi cominciano ad appartenerci. Quando ciò accade siamo persone autenticamente aderenti a quel dato valore. Precisa Aïvanhov: “per soddisfare l’intelletto, l’uomo ha bisogno di pensare; per soddisfare il suo cuore, ha bisogno di provare dei sentimenti; per soddisfare la sua volontà, ha bisogno di agire; ed è proprio nell'azione che egli vive le più grandi gioie […]. Un'azione presuppone, infatti, la concentrazione di tutte le energie, la partecipazione di tutte le cellule del nostro essere in vista di un gesto che ne è il compimento. Per questo ogni atto di bontà, di saggezza e di amore disinteressato, eseguito in piena coscienza, ci porta la pienezza” (15).
        Non a caso Varela e Maturana che avevano approfondito lo studio delle 
        radici biologiche del comprendere, invitavano i loro lettori a vivere 
        direttamente le teorie presentate al fine di sviluppare una comprensione 
        diversa, più profonda delle stesse. 
        Peraltro, l’applicazione e la sperimentazione erano già ritenute qualità 
        fondamentali per una autentica comprensione nell’ambito della scuola di 
        pedagogia spirituale di Peter Deunov il quale affermava: ”par l’étude 
        et l’expérience, l’élève est ainsi amené à comprendre la possibilité et 
        les moyens de s’améliorer, de se renouveler en vie. L’Enseignement est 
        à la fois instructif et expérimental” (16).
        Anche nella concezione sistemica della vita si ritiene che se si vuole, 
        ad esempio, insegnare il valore della sostenibilità, non è possibile prescindere 
        dalle dimensioni esperienziali ed emozionali: ”Gli studenti devono fare 
        esperienza nell'ambiente naturale, nel giardino della scuola, in una fattoria 
        o nel letto di un fiume, e quello che sperimentano mentre si alfabetizzano 
        in ecologia è la comunità. Altrimenti al termine della scuola, potrebbero 
        diventare ecologisti di ottimo livello ma potrebbero essere assai poco 
        interessati alla natura, alla Terra. Insegnare la sostenibilità vuol dire 
        creare esperienze che comportano relazioni emozionali con la natura” (17).
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        Anche secondo Rifkin, esigere che gli studenti si limitino a osservare 
        con distacco il mondo come fosse un oggetto privo di vita “è in contrasto 
        con quasi tutto ciò che sappiamo della nostra natura e di quella del mondo: 
        nega l'aspetto relazionale della realtà, inibisce la partecipazione e 
        non lascia alcuno spazio all'immaginazione empatica. Agli studenti, in 
        pratica, si chiede di diventare alieni nel mondo” (18). Già Goethe, rileva 
        Rifkin, sosteneva che “il miglior approccio alla natura è quello di chi 
        vi partecipa, più che quello dell'osservatore distaccato. Per esempio, 
        nello studiare la morfologia di una pianta, il botanico deve entrare nella 
        vita della pianta stessa. Goethe chiamava questo approccio alla scienza 
        «un empirismo delicato che si identifica nel modo più intimo con l'oggetto 
        e così diventa vera e propria teoria». Goethe era convinto che la «capacità 
        di pensiero è attiva se è unita all'oggetto» e che il «pensiero non si 
        separa dall'oggetto». Affermava che le vere intuizioni venivano non dall'osservazione 
        distaccata, ma da una profonda partecipazione ai fenomeni indagati” (19). 
        Questo approccio è stato ripreso, tra gli altri, anche da Maslow secondo 
        il quale non bisogna contrapporre l’astrazione all’esperienza, ma occorre 
        tener conto di entrambe (20). 
Ma va anche sottolineato, per essere pragmatici, che al fine di sperimentare le istanze della nostra natura superiore nella vita quotidiana, dobbiamo correggere i nostri problemi di vista, cioè ridare al cuore il ruolo naturale che gli compete al fine di riequilibrare, innanzitutto, i processi cognitivi e poi quelli comportamentali.
 
        
 
        
1. 
        Osserva Chopra: “Fino a quando non si è riscontrata la sua presenza nel 
        sistema immunitario prima e in quello digestivo poi, si riteneva che l'intelligenza 
        fosse prerogativa del solo cervello... Dieci anni fa, chi avesse affermato 
        che l'intestino è intelligente sarebbe stato accusato di follia pura; 
        si sapeva che il rivestimento del tratto digestivo possiede migliaia di 
        terminazioni nervose, considerate all'epoca semplici avamposti del sistema 
        nervoso utili a controllare l'attività legata all'estrazione degli elementi 
        nutritivi dai cibi ingeriti. Ora sappiamo che le cellule nervose sparse 
        sulle pareti intestinali sono in perfetta sintonia tra loro e formano 
        una rete capace di reagire agli eventi esterni, a un rimprovero sul lavoro, 
        a un pericolo, alla morte di un famigliare. Le reazioni dello stomaco 
        sono affidabili quanto i pensieri formulati dal cervello, e altrettanto 
        complesse. Anche il nostro colon, il fegato e lo stomaco pensano, senza 
        ricorrere però al linguaggio verbale. Grazie a una rivoluzione medica 
        di incredibile entità, gli scienziati si sono avventurati in una dimensione 
        di cui nessuno sospettava l'esistenza”, D. Chopra, La dimensione interiore, 
        Sperling & Kupfer, 2007, p.3 e segg. Idem, La mia via al benessere, 
        Sperling, 1997, p.102.
        2. O.M. Aïvanhov, Pensieri Quotidiani, 18 aprile 2013, Prosveta.
        3. Idem, Conférence 31 août 1955, Prosveta.
        4. Idem, Pensieri Quotidiani, 11 maggio 2014, Prosveta.
        5. F. Capra, Scienza della Vita cit., p.73.
        6. Sul ruolo dell’azione umana nel determinare il processo di “significazione 
        del mondo” in relazione ai neuroni a specchio cfr. V. Gallese, Corpo vivo, 
        simulazione incarnata e intersoggettività. Una prospettiva neurofenomenologica, 
        in M. Cappuccio (a cura di), Neurofenomenologia. La scienza della mente 
        e la sfida dell’esperienza cosciente, Mondadori, Milano. 2006.
        7. F.J. Varela, Quattro pilastri per il futuro della scienza cognitiva 
        cit. 
        8. F. Capra, Scienza della Vita cit., p. 90.
        9. Ivi, p. 70. 
        10. Ibidem. 
        11. F.Capra, Introduzione cit., p. 3. 
        12. O.M. Aïvanhov, Conférence “Les trois piliers”, 13 giugno 1951, Prosveta. 
        
        13. Idem, Vita psichica cit.
        14. Idem, Conférence “Le retour au centre“, 20 août 1957, Prosveta
        15. Idem, Conférence “Les trois piliers”cit. 
        16. P. Deunov, Le livre de la Fraternité cit., p. 48.
        17. F. Capra - P.L. Luisi, op.cit., p. 456. 
        18. J. Rifkin, op.cit., p. 563. 
        19. Ibidem. 
        20. Ibidem.
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